I segreti di Teresa
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di Mario Avagliano
Nell'estate del 1982, una talentuosa cantante originaria di Cava de’ Tirreni scalò le classifiche italiane di vendita di dischi. Con canzoni quali "Voglia 'e turnà", Teresa De Sio dimostrò che era possibile entrare nel cuore della gente non solo con le canzonette usa e getta. Sono passati venti anni da allora, e Teresa ha sperimentato vari generi musicali, dal rock alla musica classica napoletana, dal jazz al folk, collaborando con artisti come Brian Eno, Fabrizio De Andrè, Ivano Fossati e Fiorella Mannoia, e collezionando successi anche in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ora è in sala di registrazione a Roma per preparare il nuovo album, che uscirà in tarda primavera e, ci rivela in anteprima, a differenza degli ultimi conterrà "diverse canzoni in dialetto napoletano". Poi, in una pausa, parla delle sue origini, della sua passione per il cinema, come la sorella Giuliana, e confessa di essere dolce ma anche "dura, alla bisogna".
Lei è nata a Napoli ma ha trascorso la sua infanzia e adolescenza a Cava de’ Tirreni. Che ricordi ha di quegli anni?
Il mio ricordo di Cava è bello, struggente, legato a momenti di grande felicità e soprattutto di speranza. Ecco, se penso alla mia adolescenza, ricordo me, in costume, sul bordo della piscina del Tennis Club, dove ho imparato a nuotare, che sogno un futuro luminoso. E poi ricordo i primi amici, quelli più cari, delle fughe in motorino, delle avventure, degli scioperi, delle passeggiate in piazza, ai quali sono legata tuttora, come Elisabetta Di Marino, che sento al telefono praticamente quasi ogni giorno.
Com’era Cava allora?
Ho un’immagine mitica di Cava negli anni Settanta, certo enfatizzata dal fatto che erano gli anni della giovinezza, quelli di maggiore leggerezza, quando il mondo sembrava ancora possibile da vivere. Il mio ricordo di Cava, dei suoi portici, delle sue colline, è colorato di questo sentimento, e quindi anche pieno di nostalgia, nonostante che io non sia una donna che vive di nostalgie, ma al contrario, sempre proiettata sul presente e verso il futuro.
Com’è nata la sua passione per la musica e quali sono stati i suoi inizi?
Da bambina sognavo di diventare una ballerina. Ricordo che a tre anni mi guardavo nello specchio vestita con un tutù che mi avevano portato mio padre e mia madre di ritorno da un viaggio e già pensavo che quella sarebbe stata la mia vita. Fino ai dodici anni di età, ho frequentato la scuola di danza del San Carlo a Salerno. Poi i miei genitori decisero che non potevo dedicarmi in modo assoluto soltanto al ballo, senza studiare. Comunque la mia prima volta sul palcoscenico fu al Teatro Verdi, a cinque anni, per un saggio di danza.
Curioso, come sua sorella Giuliana.
Ah sì, non ci avevo mai pensato... Io e Giuliana avevamo in comune anche la grande passione per il cinema. Andavamo al Capitol, a Cava, che era proprio sotto casa. Anche adesso sono una consumatrice accanita di pellicole. E non nascondo che mi piacerebbe molto scrivere musiche e storie per il cinema.
La sua famiglia le è stata di stimolo? Ho letto che suo nonno paterno ha avuto un ruolo importante…
Mio nonno, don Roberto De Sio, gestiva il Bar Remo a Cava ed era un non vedente. Malgrado ciò, suonava il pianoforte, la chitarra, il mandolino e la fisarmonica. Forse la mia passione per la musica è nata nei pomeriggi in cui mio nonno mi teneva seduta sulle sue ginocchia, di fronte al pianoforte, e mi spiegava il funzionamento dei tasti bianchi e neri. E io mi meravigliavo di questa cosa così leggera ed impalpabile che era la musica che usciva da una cosa così pesante come il pianoforte.
Al Liceo Classico Marco Galdi lei partecipa al movimento del ’77. Che cosa facevate in quel periodo e che giudizio ha di quella stagione politica e culturale?
E’ stata una stagione di fermenti culturali, di iniziative spontanee. Sinceramente però devo confessare che io non mi rendevo conto di far parte di un movimento, certe cose le facevo per intuito. Con alcuni amici, Sandro Ferro, Gigino Violante, che purtroppo è scomparso e al quale devo gran parte della mia formazione umoristica, Elio Venditti, Antonio Santucci, Annalaura Paolillo e tanti altri, mettemmo su "Gruppo Tre", che organizzava spettacoli musicali e teatrali. Ricordo che andammo anche al Mulino Ferro, durante il periodo dell’occupazione, recitando poesie di Brecht e cantando musica rock. D’estate, poi, tenevo lezioni di ripetizione ai bambini degli operai del Mulino che erano in sciopero.
Cosa si porta dietro quell’esperienza?
Beh, quella spinta sociale è rimasta dentro di me, anche se in maniera alterna. Io credo che l’arte non debba avere né obblighi né vincoli, ma debba guardare le cose come un uccello migratore, con la libertà di decidere di volta in volta dove fermarsi. In questo quadro, quando c’è bisogno davvero di impegnarsi socialmente, non mi tiro indietro.
L’arte in generale. Pochi sanno, infatti, che Teresa De Sio, prima di fare musica, era un’attrice di teatro.
Già, lasciata la danza io ero disperata. Mio zio materno, Gianni Testa, che era di Salerno, mi fece entrare in una compagnia teatrale salernitana, la Scacchiera. Scoprii che recitare era ancora più bello che ballare. Poi, a 16-17 anni, passai alla compagnia di Alessandro Nisivoccia, al Teatro San Genesio, con la quale partecipai a decine di spettacoli. Ricordo in particolare la messa in scena di uno spettacolo suggestivo, "Napule ca’ se ne va", che fece conoscere ed apprezzare a una rockettara come me le canzoni classiche napoletane. Uno degli autori e fautori dello spettacolo era il giovane Alfonso Andria, ora presidente della Provincia di Salerno.
A metà degli anni Settanta lei si trasferisce a Roma.
Ci tengo a dire che non è stata una scelta di abbandono della mia città. Nel ’74 ho trovato per caso un ingaggio da parte della Compagnia dell’Atto. Cercavano un’attrice, mi sono presentata al provino e sono stata presa. Poiché le prove iniziavano il giorno dopo, sono rimasta a Roma e non sono mai più tornata. E’ stata il destino che ha scelto per me. Con loro ho passato tre anni, recitando i classici greci, Euripide e anche Brecht.
Fino all’incontro, a Torino, con Eugenio Bennato.e il gruppo "Musica Nova", che fondeva il linguaggio folk con la canzone d'autore.
Un altro segno del destino. Nel ’77 ero stata ingaggiata dal gruppo teatrale Cabaret Voltaire, a Torino, per mettere in scena "Affabulazione" di Pier Paolo Pasolini. Una sera, a cena, incontrai in un ristorante gli elementi della Nuova Compagnia di Canto Popolare, che si erano esibiti sotto la Mole. Cantai una canzone insieme a loro. C’era anche Eugenio, che mi sentì cantare e mi chiese che facevo. Cominciò così l’amicizia con lui, e subito dopo il suo distacco dalla Compagnia, mi chiese di diventare la voce di Musica Nova.
Insomma, fu Eugenio Bennato a indicarle la strada della musica…
Senz’altro. Senza di lui non avrei fatto questo percorso. Fu lui a convincermi che cantare era ancora più bello di ballare e di recitare. I tre anni con Musica Nova hanno rappresentato un’esperienza fondamentale nella mia vita, anche perché ho scoperto la musica popolare e che esisteva un modo di fare musica che non era né l’imitazione di quella anglofona né la musica leggera. Poi è finita perché tutte le cose ad un certo punto finiscono e perché io volevo cominciare a diventare anche autrice.
Dopo il primo album, "Sulla Terra Sulla Luna", nel biennio 1982-1983, con "Teresa De Sio" e "Tre", lei conquista le vette della classifica: un milione di copie vendute. Ebbe paura di tanto successo?
L’ubriacatura da successo si rischia quando non si è preparati. Io ero abituata a stare sul palcoscenico dai 5 anni di età… E poi in quel periodo ero occupatissima a suonare e cantare dal vivo e non avevo neanche modo di vivere fino in fondo il successo. Diciamo che il peso del successo si è fatto sentire molto di più dopo.
Come è cambiata Teresa De Sio rispetto agli esordi? Dalle villanelle della grande tradizione partenopea, al grande successo popolare di canzoni quali "Voglia 'e turnà", "Pianoforte e voce", "Terra 'e nisciuno", alla sonorità rock di Brian Eno, per ritornare alla riscoperta della musica popolare del sud…
Il mio percorso artistico è stato molto ricco e articolato, e forse lo sarà ancora di più in futuro. D’altra parte la poliedricità fa parte della mia personalità. Mi piace sperimentare linguaggi artistici diversi, non adagiarmi. Sul lavoro ho un carattere molto passionale e ho bisogno di stimoli forti, di novità, di rischiare, di guadagnarmi sempre gli applausi, senza dare nulla per scontato. Quando arrivi a un certo punto, con più di un milione di dischi venduti, concerti dal vivo con 40 mila spettatori paganti, rischi di sentirti appagata, di ripeterti. Io ho voluto cambiare. Una decisione che mi ha fatto guadagnare molto e anche perdere molto.
Perché?
Per esempio, la collaborazione con Brian Eno, mi ha fruttato molti consensi e mi ha fatto crescere dal punto di vista artistico e umano, ma mi ha procurato anche molte critiche. C’è chi ha detto, sbagliando, che l’incontro tra un’artista mediterranea e uno nordico e freddo, non aveva senso. Risultato? I due dischi nati dal nostro sodalizio, "Africana" e "Sindarella Suite", hanno avuto più successo in Inghilterra e in Usa che in Italia.
Oltre che con Brian Eno, lei ha collaborato con musicisti e cantanti del calibro di Fabrizio De André, Ivano Fossati, Piero Pelù, Fiorella Mannoia. Qual è l’esperienza alla quale è più legata?
Senza togliere niente a tutti gli altri, che sono cari amici, direi la collaborazione con Fabrizio De Andrè. E’ stato il mio maestro. Fin da piccola era quello che ascoltavo di più, insieme alla musica afroamericana e a Jony Mitchell e Bob Dylan. L’opportunità di lavorare con lui, è stata straordinaria. Figuratevi che ha significato per me che uno come Fabrizio cantasse una mia canzone, intitolata "Un libero cercare". E’ stato come un premio alla carriera! E poi De Andrè mi ha sorpreso anche dal punto di vista umano.
Cioè?
Tutti mi avevano detto che era un orso, un uomo durissimo. Ero terrorizzata, invece con me ha mostrato un lato molto dolce. L’altra cosa che ho apprezzato immensamente è stata la sua capacità di ascolto. Avrebbe potuto mettersi in cattedra, fare il professore. Invece no. Siamo diventati amici.
Napoli e la Campania sono una delle isole felici della musica pop italiana, un po’ come Bologna e Genova. Pino Daniele, Edoardo Bennato, Teresa De Sio, Eugenio Bennato, Nino D’Angelo, Gigi D’Alessio, gli Almamegretta… Collabora o ha collaborato con qualcuno di loro? Di chi ha più stima o è più amica?
Di Edoardo Bennato ho già detto. Pino Daniele scrisse una canzone intitolata "Nanninella" per il mio primo album, "Sulla Terra Sulla Luna", ma il rapporto con lui non è stato tanto pacifico, anzi è stato abbastanza turbolento. E poi, se a quell’epoca c’era una qualche vicinanza tra i nostri percorsi artistici, successivamente abbiamo preso strade completamente diverse. Mi interessano molto i nuovi gruppi, come gli Almamegretta e i 24 Grana. Con Raiss degli Almamegretta ci alleniamo insieme in palestra, solo che lui è molto più muscoloso di me…
Tra le sue grandi passioni c’è la musica classica napoletana. Ha nuovi progetti in preparazione su questo versante?
Sono felice di poter annunciare ai lettori de "La Città" che tra qualche mese sarà ripubblicato il mio album di canzoni napoletane "Toledo e Regina". E’ richiestissimo dal pubblico e la mia etichetta, la Universal, ha deciso di riproporlo. Credo molto in questo disco, perché la musica napoletana classica è eterna. Posso anticipare anche che ci sarà qualche canzone nuova.
Intanto lei è in sala di registrazione. Ci rivela qualcosa del nuovo album?
Sicuramente rifletterà il mio amore per la musica, la poesia e la letteratura latinoamericana. Proporrò ad esempio "Terra", uno straordinario e ammaliante brano di Caetano Veloso che ho tradotto in italiano. Riprenderò poi alcune canzoni inedite presentate nel corso del tour dell’anno scorso, "Da Napoli a Bahia da Genova a Bastia", una sorta di viaggio per mare scritto assieme al navigatore Giovanni Soldini, come "Il pane della domenica"e anche "Stammo Buono".
E’ un ritorno alle canzoni in dialetto napoletano?
Sì, ho voglia di scrivere di nuovo in napoletano.
Ha già in mente il titolo? Quando uscirà nei negozi?
Il titolo, scusatemi, è ancora top secret. Mi auguro che il disco esca prima dell’estate, in tarda primavera.
Com’è Teresa De Sio nel privato? Pigra o attiva? Dolce o dura?
Molto passionale nel lavoro, molto ironica nella vita. Dolce o dura non saprei rispondere: l’uno e l’altra, alla bisogna.
Ha mai nostalgia della sua terra? Del cibo, dei profumi, del mare?
E come no! E’ per questo che mi piace cucinare piatti campani. Mi riesce molto bene, per esempio, il gateau di patate.
Che impressione ha di Cava e di Salerno. Le trova cambiate? In meglio o in peggio?
Salerno mi piace di più adesso che negli anni Settanta-Ottanta. Si è rivoluzionata, in senso positivo. Ma anche Cava è migliorata negli ultimi anni.
Ci sono canzoni, nel suo vasto repertorio, che parlano delle nostre zone?
C'è una canzone che ho scritto anni fa, "Dammi spago", che parla proprio della mia giovinezza, degli amici del bar, dei luoghi a me cari. E tra questi, ovviamente, c'è anche Cava...
(La Città di Salerno, 19 gennaio 2003)
Scheda biografica
Teresa De Sio nasce a Napoli, ma trascorre la sua infanzia e adolescenza a Cava de’ Tirreni. L’inizio della sua carriera è nel teatro, con il gruppo di Alessandro Nisivoccia, al San Genesio di Salerno. Solo nel 1979 arriva la prima esperienza musicale significativa, con Musica Nova, di Eugenio Bennato. Nel 1980 viene pubblicato il suo primo album come solista, "Sulla Terra Sulla Luna", di cui firma tutti i testi, in dialetto napoletano. Nel 1982 esce "Teresa De Sio", che contiene tra le altre canzoni "Voglia 'e turnà" e "Aumm Aumm". A sorpresa il disco vende oltre cinquecentomila copie e una lunghissima tournée corona il successo dell'anno. Nel 1983, con la pubblicazione di "Tre", ancora cinquecentomila copie vendute. Nel 1985 esce "Africana", primo album dove compaiono composizioni in lingua italiana con un linguaggio rock. Al suo fianco c’è Brian Eno. L'album viene pubblicato in Inghilterra, Francia e Germania. L’anno dopo per la prima volta Teresa si avvicina alla musica napoletana dei primi del Novecento, con "Toledo e Regina", una raccolta di classici interpretati in maniera mirabile. Nel 1988 viene pubblicato il doppio album "Sindarella Suite", la prima parte contiene canzoni, la seconda la suite composta assieme a Brian Eno e Michael Brook intitolata "La Storia Vera di Lupita Mendera" che verrà presentata in anteprima al Festival Internazionale della Poesia di Parma. Tra il 1991 e il 1997 escono quattro nuovi album: "Ombre Rosse" (1991); "La Mappa del Nuovo Mondo" (1993); "Un Libero Cercare (1995), al quale collaborano Fabrizio De André e Fiorella Mannoia; "Primo viene l’amore" (1997), una raccolta dei suoi grandi successi, con alcuni inediti. Dopo due anni di tour in Italia e all’estero, nel 1999-2000 realizza il progetto "La Notte del Dio che Balla", che partecipa ai maggiori festival italiani: più di tre ore di musica dal vivo, dalle radici della musica popolare alle contaminazioni tecnologiche. Nel 2001-2002, parte un nuovo tour ,"Da Napoli a Bahia da Genova a Bastia", una sorta di viaggio per mare scritto assieme al navigatore Giovanni Soldini.
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