Lucia Annunziata e i volantini alla Marzotto

di Mario Avagliano
 
"Sono legatissima a Salerno. Ho girato il mondo, ho vissuto in America, Medio Oriente e Russia, ma mi sento intimamente meridionale e campana". Lucia Annunziata, 51 anni, giornalista di razza, una brillante carriera come inviata, conduttrice televisiva, scrittrice, direttrice del Tg3, è ora alla guida dell'agenzia d'informazione internazionale Ap-Biscom, ma – avverte - non ha "mai dimenticato le proprie radici". E archiviata l’attualità ("è un momento complicato, preferisco non esprimere giudizi e fare il mio mestiere di giornalista"), parla invece volentieri del suo passato politico nel movimento studentesco salernitano, delle levatacce all’alba per andare a volantinare davanti agli stabilimenti dell’Ideal Standard e della Marzotto o nei quartieri popolari di Pastena e Mercatello, ma anche della sua passione per la mozzarella di bufala e dei frequenti ritorni nella sua terra.
 
Lei è nata a Sarno. Quando si è trasferita a Salerno?
Quando avevo 13 anni. Prima ho girato l’Irpinia, al seguito di mio padre: Cassano Irpino, Avellino, Nusco…
Curioso, anche Nusco…
Sì. Ricordo che De Mita negli anni Ottanta mi diceva che ero molto intelligente, perché da piccola avevo "respirato l’aria di Nusco".
Nel ’63 l’impatto con Salerno.
Arrivo e m’iscrivo al Liceo Tasso. In quegli anni Salerno era una cittadina - come dire - aspirante borghese, a differenza di Napoli, che era più metropolitana, anche se per certi versi un gran casino. Allora Salerno era una città perbene, anche un po’ perbenista, a voler essere pignoli. La vita era tutta regolata nei luoghi deputati: il pomeriggio la tazza di caffè ai tre bar del lungomare Trieste, alle sette di sera lo struscio, la domenica mattina la messa in Chiesa e poi alle 12-12,30 il giro al centro. Io non ero da meno, frequentavo il circolo "Il Ridotto", dove andavano i figli delle ‘buone’ famiglie.
Il tran tran, però, a un certo punto si rompe…
Colpa, o merito, della grave crisi economica che colpisce la città e il suo sistema industriale, le grandi fabbriche, l’Ideal Standard, la Marzotto… Si registrano i primi imponenti scioperi operai. Su Salerno si rovescia una notevole massa di immigrati dall’interno della provincia. Si espande la zona di Pastena, dove sorgono i quartieri un po’ più poveri…
Sulla città incombe il ’68.
Tra il ’67 e il ’68 cambia tutto. Salerno viene pesantemente politicizzata. Nelle fabbriche, e nelle scuole. Muta anche il costume. Ricordo la rivoluzione provocata dalla musica americana beat e dai pantaloni a zampa d’elefante. Al Liceo Tasso portavamo i grembiuloni neri, ma sotto indossavamo minigonne tremende o pantaloni verde smeraldo aderenti al pube…
La studentessa Annunziata diventa una contestatrice.
Già, anche io mi butto in politica, nel movimento studentesco salernitano. Fu un’esperienza straordinaria. All’inizio il movimento fu incredibilmente libertario, influenzato com’era dall’America, dai Kennedy, dalle lotte per i diritti civili, dalle manifestazioni contro la guerra in Vietnam.
Incrocia anche Michele Santoro?
Sì, anche se io facevo parte del movimento studentesco, e militavo in un collettivo che tra l’altro faceva volontariato di doposcuola a S. Ignazio, a Pastena. Lui era già più strutturato, aderiva ai gruppi leninisti-marxisti, era più rigoroso intellettualmente di me, che sono sempre stata una libertaria.
Un episodio indimenticabile di quegli anni?
Il Natale del ’69, quando organizzammo a Salerno un corteo contro Franco e l’Unione Sovietica, contro quello che chiamavamo il social-imperialismo. Un corteo interminabile, da Piazza Malta, dove era sorta da poco l’Università, fino alla fine del corso cittadino. Tenni io il comizio, sotto un grande albero di Natale, tutto addobbato di palle colorate e di luminarie, mentre la gente era affaccendata tra pacchi e pacchetti nelle ultime spese e negli ultimi regali.
Chi erano i suoi amici?
Voglio citarne tre per tutti: Massimo Rago, diventato un bravissimo medico; Bia Sarasini, che poi ha diretto Noi Donne; e Maria Grazia Barbirotti.
E i compagni di lotta politica?
Ricordo affettuosamente Ernesto Scelza, Nicola Paolino e Enzo Sarli, con i quali, nel ’69, fondammo il gruppo del Manifesto di Salerno, che era in contatto a Napoli con Caprara.
Che facevate?
Eravamo molto attivi. Non so quante ore e ore ho passato davanti alle fabbriche di Salerno a distribuire volantini! Organizzammo il comitato dei senza-casa, occupando alcuni fabbricati nuovi sopra al Carmine. Ci venne a prelevare la polizia…
Una volta fu anche arrestata.
Per fortuna venne mio padre a prendermi in Questura, prima che mi portassero in carcere. Mio padre all’epoca era molto impegnato nel Pci e tra noi e il Pci non correva buon sangue.
Cosa vuol dire?
Capitava anche che si venisse alle mani. Al corteo del 1° maggio del ’69 o del ’70 ci scontrammo con gli operai del Pci. Mio padre intervenne per dividerci, come altri padri che erano comunisti e avevano figli che aderivano ai movimenti. Beninteso, neppure noi eravamo dei santarelli…
L’università la frequentò tra Napoli e Salerno.
M’iscrissi alla facoltà di storia e filosofia a Napoli. Ma nel ’71 mi trasferii a quella di Salerno, perché l’università di Napoli, tra occupazioni, incendi e dimissioni dei professori, non funzionava più. Io ci tenevo allo studio.
Nonostante l’impegno in politica?
Attraverso tutto il bailamme del ‘68, io mi sono laureata in tre anni e una sessione con 110 e lode. All’epoca contestare non significava rifiutare la scuola, anzi avevamo l’orgoglio di essere i primi della classe. Mi laureai con Gaetano Arfè, con una tesi sul rapporto tra meridionalismo e primi comunisti napoletani. Ricordo che scrissi tutta la tesi lavorandoci anche di notte ma, tra riunioni politiche, manifestazioni e volantinaggi, non ebbi il tempo di farla rilegare. La portai in aula spillata. I professori s’incavolarono, non volevano darmi la lode…
E la passione per il giornalismo?
Nasce molto più tardi. Nel ’72 mi sposai con Attilio Wanderling (leader del movimento napoletano, n.d.r.) e l’anno dopo ci trasferimmo in Sardegna, innamorati com’eravamo dell’idea di una nuova frontiera dell’attività politica, di vivere in un posto selvaggio, libero, al di fuori del mondo. Fino al ’75 sono stata lì, in un’isola bellissima, Sant’Antioco, che guarda la Spagna, continuando l’attività politica nel Manifesto. Quando sono stata nominata responsabile nazionale della commissione scuola del Manifesto e poi del Pdup, con Famiano Crucianelli, sono venuta a Roma e li poi ho conosciuto Lerner, Adornato, D’Alema, Manconi. Facevamo riunioni interminabili. Nel ’77, infine, mi sono stufata della politica e mi sono dimessa dall’incarico…
 E il giornalismo?
Il giornalismo mi sembrava una cosa molto più libera della politica, che era diventata pesante, noiosa. Io già frequentavo la redazione del Manifesto e ogni tanto scrivevo qualcosa. Chiesi a Rossanda di fare la giornalista, ed… eccomi qua.
In giro per il mondo e passando da Repubblica al Corriere e al Tg3. Senza mai perdere di vista Salerno e la Campania…
Io credo di essere intimamente meridionale. Sono una persona che gira moltissimo il mondo, ma che ha un fortissimo senso delle radici. Del Sud mi piacciono le famiglie estese, il calore, il dovere di lealtà alla propria terra. Ho sempre considerato il mio essere meridionale un arricchimento. Non sono mai diventata una sradicata, e credo che anche i salernitani mi riconoscano come una loro concittadina.
Ha educato anche sua figlia ai "valori" del Sud?
Altrocche’. Mia figlia, pur essendo americana, ha imparato a mangiare gli spaghetti alle vongole al Porto di Salerno e conosce e apprezza il sapore dei panzerotti di Sarno…
Sarno, appunto. Nel ’99, quando c’è stata l’alluvione, ha sentito il bisogno di tornare nei posti dove era nata e di scrivere un lucido libro d’accusa sui ritardi dei soccorsi e della ricostruzione, intitolato "La crepa".
E’ vero. A Sarno ci sono solo nata, ma sono legata a questo centro, mi ricorda quando s’andava d’estate dai nonni… La vicenda dell’alluvione è un esempio dell’altra faccia della medaglia dell’identità meridionale, quella negativa, quella che indulge al fatalismo.
Torna spesso da questi parti?
Ho la casa di vacanza a Capri. Fuori stagione capito a Vietri e in costiera, che amo moltissimo. E anche a Salerno, dove vive tuttora mio padre, vengo spesso. Ci sono stata due settimane fa.
Che ne pensa della Salerno di oggi?
E’ cambiata moltissimo ed è cresciuta bene, anche per merito di un sindaco come De Luca, che conosco a fondo. Però…
Però?
L’unica cosa su cui sono polemica è la costruzione del porto con i containers, che ha tagliato la continuità turistica ed estetica della città con la Costiera, impedendo a Salerno di diventare il terminal del grande turismo internazionale che visita le nostre zone. Per colpa del porto, la Costiera si ferma a Vietri.
E invece?
Non è vero, la Costiera termina a Salerno. Non mi riferisco a De Luca, ma chi lo ha preceduto ha fatto un calcolo sbagliato. Salerno si è fissata con l’industrializzazione e non ha capito in tempo la sua vocazione turistica. Così il patrimonio naturale di Salerno è stato sprecato con la costruzione del ponte di via Alfonso Gatto e con la distruzione della zona costiera a sud della città, che è un ricettacolo di rifiuti, di costruzioni abusive, di alberghetti da quattro soldi.
Si riferisce alla zona di Paestum?
Sì, alla zona tra Salerno e Paestum, che è stata devastata e che tuttora non è oggetto di un piano di recupero. Per chilometri e chilometri il mare di Salerno è tarpato. La pineta è mezza malata. Risultato? Il turismo internazionale va a Pompei, s’infila in costiera, vede Salerno da sopra e dice "bye" e infine si dirige verso il Cilento e la Calabria, che stanno cominciando ad organizzarsi bene.
Un’occasione mancata?
Salerno ha tutte le qualità per intercettare il turismo, è pulita, benservita. Perché non si organizza un servizio di grande qualità sul mare? Perché non si costruiscono grandi alberghi? Perché non si sfrutta l’itinerario della mozzarella?
La mozzarella? Lei è una intenditrice?
Di più. Sono una appassionata della mozzarella di bufala. La prova d’amore che chiedo a tutti gli amici salernitani quando vengono a trovarmi, è che mi portino un po’ di mozzarella. La adoro. Ahimè, perché ingrassa molto…
 
 (La Città di Salerno, 24 novembre 2002)
 
 
Scheda biografica
 
Lucia Annunziata è nata a Sarno nel 1950. Giornalista, è direttore dell'agenzia d'Informazione Internazionale Ap-Biscom. E' stata inviata e corrispondente per il Manifesto, La Repubblica e il Corriere della Sera. Ha seguito gli Stati Uniti, l'America Latina e la Russia. E' stata autrice e conduttrice del talk show politico Linea 3 e ha diretto il Tg 3 dal 1996 al 1998. Ha vinto il Premiolino per i suoi servizi durante la guerra del Golfo e il Premio Max David come inviato di guerra. Nel 1993 ha avuto la Nieman Fellowship dell'Università di Harvard. Inoltre, ha vinto il Premio Malaparte per il suo libro 'Bassa intensità' (Feltrinelli, 1990) e il Premio Saint Vincent per il libro 'La Crepa' (Rizzoli, 1998). E' membro dell'ASPEN Institute. Sposata con Daniel Williams, inviato internazionale del Washington Post, ha una figlia, Antonia, di nove anni.
 
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