Hollywood, il varietà, i fotoromanzi. La guerra è finita, lasciateci divertire (La Stampa)
di Mirella Serri
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di Mirella Serri
di Mario Avagliano
È una sera qualsiasi del 1975, a Genova. Sul palco si esibisce l’attore Walter Chiari e all’improvviso lancia una provocazione al pubblico. «Quando Mussolini fu appeso per i piedi a Piazzale Loreto – afferma -, dalle sue tasche non cadde nemmeno una monetina. Se i nuovi reggitori d’Italia subissero la stessa sorte, chissà cosa uscirebbe dalle tasche di lor signori!» La cronaca non ci dice se la sua battuta venne accolta dagli applausi, ma non c’è dubbio che l’attore, che aveva trascorsi giovanili nella Repubblica Sociale, esprimeva un luogo comune sulla presunta onestà del duce e del regime fascista che è ancora diffuso in Italia.
Una “fake-news”, si direbbe oggi, che viene fatta a pezzi dal prezioso lavoro di ricerca di Mauro Canali e Clemente Volpini in «Mussolini e i ladri di regime. Gli arricchimenti illeciti del fascismo» (Mondadori). Un saggio che, attraverso documenti inediti provenienti dal Ministero delle Finanze, versati all’Archivio Centrale dello Stato e messi solo da poco a disposizione degli studiosi, ci fornisce un’impietosa radiografia del malaffare in camicia nera, facendo i «conti in tasca» ai gerarchi. A partire dal capo assoluto del fascismo, che nel 1919 aveva fondato il suo movimento anche per combattere i profittatori di guerra (i cosiddetti “pescicani”), e che invece quando il 25 luglio 1943 perde il potere, è un uomo ricco, proprietario di numerosi terreni e immobili di pregio, molti dei quali prudentemente intestati alla moglie Rachele, e di un imponente complesso tipografico. Beni che saranno valutati, nel 1950, circa 2 miliardi. I vent’anni di potere assoluto hanno reso il «povero maestrino» e la «contadina sempliciona e rozza» di Predappio due ricchi borghesi.
La ricerca storica di Canali e Volpini prende le mosse all’indomani della caduta di Mussolini. È il 5 agosto e da pochi giorni il maresciallo Pietro Badoglio si è insediato al Viminale col suo governo tecnico-militare che ha spodestato il duce dopo un ventennio di regime, mettendolo agli arresti anche se, pudicamente, i giornali hanno parlato di "dimissioni". Quel giorno, però, bando alla prudenza: quasi tutti i quotidiani riportano una notizia sensazionale. Il governo Badoglio ha istituito una commissione con il compito d’indagare sulle fortune accumulate dai gerarchi: i cosiddetti illeciti arricchimenti del fascismo. Una vera e propria Tangentopoli ante litteram. Il duce e i ras del regime, un tempo intoccabili, temuti e riveriti da stampa e opinione pubblica, vengono sbattuti in prima pagina con l’accusa di corruzione e concussione.
Quello che il libro scoperchia è un autentico verminaio. Una storia di tangenti e appalti, di capitali che trovano riparo all’estero, di raccomandazioni, di festini e di sesso, di cricche e di prestanome; un intreccio perverso tra politica e affari, alla faccia del rigore e dell’onestà tanto proclamati dalla propaganda fascista. Vicende a tratti grottesche, con fughe rocambolesche, rotoli di banconote nascosti nell’acqua degli sciacquoni del water, tesori sepolti in giardino. Verbali di sequestro dettagliati e scrupolosi che testimoniano gli illeciti arricchimenti del fascismo: ville favolose, palazzi, pellicce, arazzi, gioielli scintillanti, fino al numero di posate in argento, all’ultima pantofola, calza e mutanda dei gerarchi inquisiti. Solo in piccola parte questi patrimoni torneranno nei bilanci dello Stato.
Alla ribalta salgono nomi eccellenti. Si scopre ad esempio che Alessandro Pavolini, il Robespierre nero, ministro del Minculpop, boss del cinema di regime, è pronto a tutto, anche a cambiare le leggi, pur di far felice l’amante, l’attrice e icona sexy Doris Duranti (la prima, assieme a Clara Calamai, ad apparire sullo schermo con il seno nudo). L’integerrimo Roberto Farinacci, l’ideologo della purezza fascista, ha accumulato un patrimonio di centinaia di milioni: niente male per un ex ferroviere diventato avvocato copiando la tesi di laurea. Edmondo Rossoni, ex leader sindacale, considerato «la migliore forchetta del regime» e non solo perché usa pasteggiare con posate d’oro, si è invece costruito nel Ferrarese un vero e proprio impero immobiliare. Il mercimonio e la corruzione non risparmiano neppure le pratiche per ottenere l’arianizzazione: diversi ebrei per sfuggire in questo modo alle leggi razziste sono costretti a versare ai gerarchi fascisti pesanti tangenti. C’è poi Mussolini e i suoi «affari di famiglia», con gli intrallazzi di Galeazzo e Edda Ciano, l’avidità di donna Rachele e la rapacità del clan della famiglia della sua amante Claretta Petacci.
Un libro necessario quello di Canali e di Volpini, che smitizza una volta di più le presunte virtù del fascismo italiano, che fu un regime dittatoriale, guerrafondaio e razzista e non brillò neppure per integrità morale, lasciando all’Italia repubblicana una triste e penosa eredità di corruzione della politica e della burocrazia.
(Il Mattino, 26 agosto 2019)
di Mario Avagliano
A cura di Bretema e Valentina Pietrosanti
Evento organizzato in collaborazione con Casa della Memoria e della Biblioteche di Roma.
Registrazione video del dibattito dal titolo "Presentazione del libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri "Dopoguerra. Gli italiani tra speranze e disillusioni (1945-1947)"", registrato a Roma giovedì 18 luglio 2019 alle ore 18:15.
Dibattito organizzato da Associazione Nazionale Partigiani Italiani e Fondazione Pietro Nenni.
Sono intervenuti: Carlo Fiordaliso (vice Presidente della Fondazione Nanni), Ugo Intini (giornalista, esponente storico del Partito Socialista Italiano), Simona Colarizi (ordinario di Storia Contemporanea presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma), Fabrizio De Santis (presidente dell'ANPI provinciale di Roma), Mario Avagliano (scrittore, saggista, autore del libro).
Sono stati discussi i seguenti argomenti: Antifascismo, Brigate Rosse, Comunismo, Ebrei, Fascismo, Guerra, Istituzioni, Italia, Libro, Nazismo, Nenni, Pertini, Politica, Resistenza, Storia.
La registrazione video di questo dibattito ha una durata di 1 ora e 25 minuti.
Il contenuto è disponibile anche nella sola versione audio.
(pubblicato su www.radioradicale.it, 18 luglio 2019)
Nel saggio di Avagliano e Palmieri gli anni difficili e la rinascita. Dalle burrascose vicende politiche alla Costituzione repubblicana
Chiara Proietti
«E' un momento curioso quello che attraversiamo» scrive nella primavera del 1945 la sceneggiatrice Suso Cecchi D'Amico al marito, «sta per scoppiare il dopoguerra ..) Non potrei spiegare altrimenti questo sgomento indefinibile che ha preso un po' tutti. Proprio tutti».
Il 25 aprile del 1945 la guerra non è ancora finita, ma avviene una svolta decisiva per la libertà. La liberazione del Nord dall'occupazione nazifascista e l'arrivo delle truppe alleate segnano per l'Italia un punto ben preciso. «Ma cosa speravamo dunque tutti? Che il giorno dopo la Liberazione le cose fossero già sistemate a dovere?" annota in quei giorni nel suo diario la partigiana Andreina Zanelli Libano. L'Italia è un paese stremato, inquieto e travagliato, in cui le persone hanno perso i propri punti di riferimento e devono adeguarsi a un nuovo contesto sociale e politico, nazionale e internazionale. Nei tre anni che vanno dalla fine della guerra all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana la comunità nazionale ricompone i suoi frantumi, si congeda dalla guerra civile e dal fascismo e ricostruisce faticosamente il suo futuro. Sono i giorni delle vendette e della resa dei conti, dei prigionieri e dei deportati che tornano a casa, delle grandi adunate politiche nella rinata democrazia, ma anche di una gioiosa febbre di divertimento e di fretta di ricostruire. Per la prima volta tutti gli aspetti politici, economici, sociali di questo intenso periodo della storia d'Italia sono stati indagati, con una visione d'insieme, da due specialisti del ramo, Mario Avagliano e Marco Palmieri, nel nuovo saggio Dopoguerra. Gli italiani tra speranze e disillusioni 1945-1947 appena pubblicato da il Mulino. Gli autori interrogano diari privati e memorie, lettere, relazioni dei prefetti e delle forze di polizia, articoli di stampa, cinegiornali, film e canzoni, corrispondenze e conversazioni intercettate, per comporre un ricco e appassionante ritratto di come gli italiani vissero quei primi anni successivi alla Liberazione: il ritorno dei reduci e il loro difficile reinserimento nella vita civile; il ritorno dei deportati politici e degli ebrei; i partigiani chiamati a deporre le armi; i fascisti veterani o giovanissimi di Salò impegnati a rifarsi una vita o a costruirsi uno spazio politico nel nuovo scenario; il dramma di molte donne e bambini; i criminali e i banditi.
Non solo, il periodo 1945-1947 è un'autentica stagione costituente. Tre anni dopo molto è cambiato: l'Italia è una Repubblica, ha una nuova Costituzione e ha scelto per la prima volta nella sua storia il proprio assetto politico-istituzionale attraverso due tornate elettorali a suffragio universale maschile e femminile, segnate da una straordinaria partecipazione popolare: il 2 giugno 1946 il referendum sancisce la vittoria della repubblica sulla monarchia; viene eletta l'Assemblea costituente chiamata a scrivere la nuova carta costituzionale che entra in vigore il 1 gennaio 1948; il 18 aprile 1948 viene eletto il primo Parlamento della neonata Repubblica. Gli autori raccontano i segnali di una società che tenta di ritornare alla normalità: lungo le strade si riaccendono le luci dei lampioni oscurate da anni di coprifuoco, si organizzano feste da ballo, spopolano i nuovi ritmi americani come il boogie-woogie, riparte il campionato di calcio, Coppi e Bartali riprendono a sfidarsi al Giro d'Italia e i cinema tornano a riempirsi di pubblico. Vecchie e nuove aziende, intanto, cominciano a trasformare l'economia e la società: la Piaggio mette su strada la Vespa nei pressi di Biella dove si era trasferita per sfuggire ai bombardamenti, la Candy crea la prima lavatrice italiana, l'Algida nasce grazie a una macchina per gelati residuato bellico americano e tra Torino e Roma decolla il primo volo di linea della compagnia di bandiera Alitalia. Questo libro è un ritratto di quell'Italia, di un periodo carico di speranze, di brio, di illusioni, di sacrifici e di impegno collettivo, ma anche di violenze, di angosce, di inquietudini e di disil *** lusioni. Una società che ha l'eco della guerra alle spalle ma vuole fortemente rinascere, che Eduardo De Filippo ben rappresenta nella pièce teatrale Napoli Milionaria! del 1945, attraverso la certezza del protagonista, Gennario 'ovine, reduce dalla prigionia, che « 'a guerra nun è fernuta».
E poi la potenza catartica della battuta finale, in quell'attesa dell'alba e di rinascita: «S'ha da aspettà, Ama'. Ha da passa' a'nuttata». Quando disse l'ultima battuta, ha ricordato Eduardo, ci fu un lungo silenzio ancora per otto o dieci secondi, «poi scoppiò un applauso furioso, anche un pianto irrefrenabile», tutti avevano in mano un fazzoletto, «tutti piangevano. Io avevo detto il dolore di tutti».
(pubblicato su Il Tempo, 1 luglio 2019)
Gianluca Veneziani
E dopo aver perso la guerra vincemmo il Dopoguerra. Quando scoppiò, il Dopoguerra, le paure di ciò che sarebbe stato il futuro non erano inferiori a quando era scoppiato il conflitto. Ma nonostante le distruzioni fisiche e spirituali (buona parte del tessuto stradale era inutilizzabile, si faticava a trovare pane e ad avere riscaldamento, nel Paese dilagavano microcriminali e "segnorine", cioè prostitute), nonostante la doppia occupazione (prima quella nazista, poi quella dei liberatori Alleati con le relative "marocchinate"), gli italiani dimostrarono una straordinaria resilienza, quasi una capacità di sospendere il recente passato e di ravvivare il loro genio creativo in risposta alla devastazione.
Di solito siamo abituati a pensare a quegli anni, ossia al biennio 1945-47, come al periodo segnato dai postumi della guerra civile, dalla Resa dei conti e dal sangue dei vinti, o in alternativa come a una fase di cambiamento solo a livello politico e istituzionale con il referendum monarchia-repubblica, l'assemblea costituente e la campagna elettorale che avrebbe portato l'Italia nel blocco atlantico. Il nuovo libro di Mario Avagliano e Marco Palmierl intitolato Dopoguerra (Il Mulino, pp. 496, euro 28) ci consente invece di guardare a quel periodo come al momento cruciale della Ricostituzione materiale, morale, intellettuale del Paese, un passa :,zio non più interlocutorio tra un passato tragico e un futuro segnato dal boom economico, ma un biennio decisivo che mise le basi per un secondo Rinascimento italiano. Questa resurrezione, improvvisa, vitale, collettiva, non avvenne ovviamente ex nihilo ma si avvalse di molti fermenti creativi che già erano stati in azione durante il Ventennio e che ora, giunti a maturazione, poterono rimettersi al servizio del Paese, dopo la pausa forzosa imposta dalla guerra.
LE IDEE
Sono davvero straordinari la quantità di intelligenze, menti geniali e imprenditoriali che operarono in quegli anni e il numero di invenzioni, aziende, manifestazioni che esse riuscirono a mettere a punto, trasformando il nostro Paese in fucina di bellezza, innovazione, perfino divertimento. Agli italiani, assillati dalla fame e dalla povertà, erano rimaste le idee, e di quelle fecero la propria ricchezza. Contribuendo a rimettere in piedi e in ballo l'Italia.
Fu nel 1946 che la Pian o incaricò l'ingegnere Corradino d'Ascanio, già costruttore di elicotteri negli anni Trenta, di realizzare un nuovo modello di scooter che abbinasse design e comfort Ne venne fuori la Vespa, chiamata cosi perché, quando Enrico Piaggio sentì il rumore del suo motore, esclamò: «Sembra una vespa». Fu una fortuna perché in origine avrebbe dovuto chiamarsi MP5... E che dire della Scuderia Ferrari, già nata nel 1929 come reparto corse dell'Alfa Romeo, ma che solo nel Dopoguerra Enzo Ferrari rese a pieno operativa, creando la prima automobile denominata 125 Sporte riprendendosi il simbolo del cavallino rampante. Oltre a mettersi in moto, gli italiani in quegli anni presero il volo: nel 1946 venne creata l'Aero linee italiane internazionali che poi, dietro proposta di un impiegato di un ufficio postale, venne ribattezzata Alitalia per esigenza di sintesi nei telegrammi. E, a proposito di mobilità, è doveroso citare la nascita nel 1947, lungo le autostrade, della prima stazione di servizio, un modello di ristorazione che sarebbe stato presto imitato all'estero.
RESILIENZA
L'Italia del Dopoguerra era anche un Paese ludico che, in coincidenza della ripresa del campionato di calcio, inventò la schedina: stavolta il merito fu del giornalista Massimo Della Pergola, cosh etto tuttavia già due anni dopo a cedere i diritti del concorso e a darsi all'ippica (ripiegò infatti sulla gestione del Totip). Ed era un'Italia che aveva voglia di godersi i piccoli piaceri e di farsi aiutare dalla tecnologia. In quel Paese attecchì l'Algida peri gelati e fu possibile la rivoluzione della Candy che importò da noi la lavatrice, alimentando non solo simbolicamente il sogno di un Paese più pulito. Quella stessa Italia comprese che le brutture della guerra potevano essere superate solo se si coltivava il senso del Bello: nacque cosi nel 1946 il concorso di Miss Italia e l'anno seguente venne inaugurato il Premio Strega con le eccellenze letterarie del Belpaese. Una combinazione tra impegno ed evasione testimoniata dalla contemporanea esplosione delle sale da ballo e dalla crescita esponenziale dei quotidiani, il cui numero quasi raddoppiò rispetto al decennio precedente.
Ciò che colpisce, oltre alle tante idee, è lo spirito generale che caratterizzò quegli anni, sintetizzabile nell'espressione «ballare sopra le macerie». Mai ci fu tanta voglia di vita come in quel periodo in cui la gente si sentiva scampata alla morte, mai ci fu tanta voglia di evadere e dimenticare il passato (pur essendo gli anni più vicini alla guerra, furono anche gli anni in cui il popolo fu più riottoso a parlarne e sentirne parlare), mai ci fu tanta sete di futuro come capacità di guardare al destino delle generazioni suc *** cessive (fatto notevole se si pensa che allora molti italiani faticavano a sfamarsi).
Dovremmo quindi stupirci della resilienza di chi visse quel biennio. E forse, più che la Resistenza, imparare a celebrare l'epopea della Resurrezione post-bellica.
(pubblicato su Libero, 5 luglio 2019)
Ripercorrono i tre anni che vanno dalla fine della guerra all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana Mario Avagliano e Marco Palmieri. Nasce così "Dopoguerra. Gli italiani tra speranze e disillusioni", il Mulino edizioni. E' la stagione in cui la comunità nazionale si congeda dalla guerra civile e dal fascismo e costruisce faticosamente il suo futuro. Felicità e violenza si mescolano: sono i giorni del ritorno alla pace e alla libertà, delle vendette e della resa dei conti, dei prigionieri e dei deportati che tornano a casa, delle grandi adunate politiche nella rinata democrazia, ma c'è anche una gioiosa febbre di divertimento, la voglia di ballare, la fretta di ricostruire. Una energia vitale che già prepara il boom degli anni a venire. Rico Dopoguerra, gli italiani tra speranze e paure minciano i campionati i calcio, arrivano i supereroi americani, Coppi e Bartali si sfidano al Giro d'Italia.
Gli autori scelgono di partire da diari privati e memorie, lettere, rapporti dei prefetti e della polizia, stampa, film e canzoni, conversazioni intercettate per comporre un ritratto dal basso degli italiani nel momento della repubblica nascente. "Un periodo - si legge nell'introduzione - che dalle parole e dalle azioni dei protagonisti appare carico di speranze, di brio, di illusioni, di sacrifici e di impegno collettivo. Ma anche di vio- lenze, di angosce, di inquietudine e di disillusioni, che si esprimono ad esempio nella certezza di Gennaro Jovine, reduce di prigionia, protagonista della piece teatrale di Eduardo De Filippo "Napoli milionaria" del 1945, rappresentata per la prima volta al teatro San Carlo di Napoli che 'a guerra nun 'fernuta"
(pubblicato su Il Quotidiano del Sud, 13 luglio 2019)
Un bel saggio di Avagliano e Palmieri
Piero Orteca
Siamo i rami di un albero contorto dal tempo e da mille tempeste. Un olivo la cui origine si perde nei secoli, deformato ma prepotentemente abbarbicato alla sua terra, in cui scorre ancora una linfa pregna di vita e portatrice di sogni antichi. Questi siamo e questi eravamo nel 1945, alla fine di una guerra devastante. Stanchi, logorati da mille violenze, attoniti davanti alle rovine delle nostre città, eppure ancora speranzosi di poter vivere in un futuro più umano. Ecco, la bellissima analisi di Mario Avagliano e Marco Palmieri ("DopoguerraGli italiani tra speranze e disillusioni (1945-1947)", per i prestigiosi tipi del Mulino) è prima di tutto una riflessione. Anzi una vera e propria rivisitazione di un'epoca che, forse, dimostra come spesso gli italiani siano più bravi a "ricostruire", piuttosto che a "costruire".
La spinta emotiva che nasce dalle ferite e dalle distruzioni, ma anche dalla voglia di risorgere, ci spinge a dare il meglio di noi stessi. Solo nel dolore ci ritroviamo comunità? E questa la domanda che sorge spontanea nel ripercorrere con attenzione le pagine di un libro che parla degli italiani «tra speranze e disillusioni».
La bravura dei due autori, giornalisti e storici, sta nel fatto che "giocano in casa". Hanno già scritto diversi libri che ripercorrono la lunga via crucis della nostra nazione, dal fascismo alla pace dei vinti. Un popolo che ha prima "aderito", poi subito e, infine, si è riscattato con la Resistenza. E' bastato? Fino a un certo punto.
Yalta e la spartizione in sfere d'influenza tra gli alleati occidentali da un lato e i sovietici dall'altro hanno creato un clima di contrapposizione nell'arena internazionale e sul fronte politico interno. I confini geografici, ma soprattutto ideologici, costruiti con lapis e squadretta, hanno reso la trama sociale, economica e "partitica" dell'Italia di allora straordinariamente complessa. E Avagliano e Palmieri sono abilissimi a dipanarla. A ripercorrere, tappa dopo tappa, minuziosamente ma anche utilizzando il grandangolo della storia, un'epoca che segnerà la nostra Italia almeno per un altro mezzo secolo.
E un affresco neorealistico, quasi trasposto dal cinema alla prosa. Dove i "Ladri di biciclette", il "Miracolo a Milano" e gli "Umberto D." desichiani si fondono con l'acuta cronaca quotidiana di un Paese ancora traumatizzato dalla guerra, ma profondamento diverso nei suoi valori fondanti e nei suoi sogni, che si sforza di non far diventare mere illusioni. Giornalismo, ma anche rigorosa ricerca storica e, permettetecelo, anche arte. Quella di raccontare, con una notevole capacità divulgativa, fatti e personaggi senza alcun inquinamento di partigianeria. Solo la crudezza degli eventi e le considerazioni di chi, in un certo senso, prende per mano il lettore offrendogli le chiavi per le sue opzioni interpretative. Con grande onestà intelletuale.
E, poi, la rigorosa "timeline". Il dipanarsi ordinato di storia e storie che non è solo cronologia, ma è molto di più. E l'abilità di tessere la trama del tempo, legando con pazienza e logica il "fil rouge" di un'epoca caratterizzata da una straordinaria complessità e densità di eventi. Ma che proprio per questo va riproposta, passateci la terminologia propria di altre discipline, in maniera quasi entropica. Dove il polverone del caos si deposita velocemente per svelare, non in maniera deterministica, le logiche della storia. Casualità e caso (azzarderebbero gli studiosi della complessità)? No. Tutt'altro.
E un'architettura cronachistica ma anche interpretativa affascinante, quella proposta dal libro. Dalla "Liberazione" al "Ritorno alla vita", da "Paisà e segnorine" ai "Reduci, deportati e sopravissuti". Passando per le "Elezioni amministrative", la "Nascita della Repubblica", la "Pace amara", fino alla "Democrazia difficile", i capitoli scorrono come uno specchio del tempo che fu. Ci ripropongono l'importanza della "memoria" come elemento indispensabile per la costruzione di qualsiasi identità nazionale. Un libro da leggere, senza dubbio. Ma anche un libro da mettere sul comodino e da sfogliare di tanto in tanto. Per capire cosa significhi, oggi, essere italiani.
(pubblicato su Gazzetta del Sud, 15 luglio 2019)