Storie – Commediografo senza nome

di Mario Avagliano

Due segnalazioni interessanti. Oggi 6 maggio, alle ore 17.30, presso la sala conferenze dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza, sarà presentato il libro di Luca Fenoglio Angelo Donati e la "questione ebraica" nella Francia occupata dall'esercito italiano (Zamorani). Il saggio ricostruisce la vicenda di Angelo Donati, ebreo, fante in trincea durante la prima guerra mondiale, poi cofondatore del fascio di Parigi, che nei dieci mesi dell’occupazione italiana della Francia meridionale si adoperò per salvare molti suoi correligionari dalla deportazione.

Ieri invece, alla Casa della Memoria e della Storia di Roma, si è tenuta una giornata in ricordo di Aldo De Benedetti, scrittore, commediografo e sceneggiatore tradotto e messo-in-scena anche all'estero, attivo sin dagli anni Trenta. Dopo l’approvazione delle leggi razziali, fu costretto a firmare i suoi lavori con lo pseudonimo di Benedetto Laddei. Sono stati letti brani dei suoi testi ed è stato proiettato il film Due lettere anonime di Mario Camerini, datato 1945 e interpretato da Clara Calamai e Andrea Checchi (vincitore del Nastro d'Argento 1946 come miglior attore protagonista), sceneggiato da Aldo De Benedetti senza che il suo nome potesse comparire sulle locandine. Anche questo accadeva in Italia sotto il fascismo.

(L'Unione Informa e Moked.it del 6 maggio 2014)

  • Pubblicato in Storie

D-Day, il giorno più lungo per l'Europa

di Mario Avagliano

Quasi un bis di quell’alba storica del 6 giugno 1944, illuminata da una pallida luna di fine primavera. Prima della cerimonia ufficiale di ieri con il presidente americano Barack Obama e gli altri capi di stato, il cielo azzurrissimo della Normandia è tornato ad essere “invaso” da uno sciame di paracadutisti, che hanno toccato terra sulle spiagge dorate della costa francese.
E a volare sulla costa, come 70 anni fa, assieme ad altre centinaia di reduci, c’era anche l'ex parà scozzese Jock Hutton, 89 anni, che intervistato dal Daily Telegraph, ha ricordato: "Saltammo da oltre 150 metri e non c'era quindi il tempo per aprire un paracadute di riserva. Se il principale non si fosse aperto, buonanotte!".
Lo sbarco in Normandia, nome in codice Operazione Overlord, segnò la svolta della seconda guerra mondiale, portando alla liberazione dell’Europa dall’incubo nazista.
"La guerra si giocherà sulle spiagge nel giorno più lungo", aveva previsto il feldmaresciallo Erwin Rommel, uno dei più fini strateghi militari tedeschi, non a caso definito la “volpe del deserto”, chiedendo di concentrare diverse divisioni corazzate a difesa della costa. Adolf Hitler, che pure gli aveva affidato il compito di fermare gli alleati sul "bagnasciuga", non volle dargli ascolto. "Vengono a farsi divorare dal Grande Lupo", aveva commentato beffardo.
L’Operazione Overland aveva preso le mosse il 14 gennaio 1943, alla Conferenza di Casablanca in Marocco, dove gli Alleati partorirono l’idea di un piano di liberazione dell'Europa nord-occidentale. Il comando strategico venne affidato al generale statunitense Dwight D. Eisenhower, detto Ike, futuro presidente Usa, e il comando delle truppe di terra al generale inglese Bernard Law Montgomery.
Il 6 giugno 1944 fu davvero il giorno più lungo del conflitto, quello che gli americani chiamarono il D-Day, dove D sta per decision.
Lo sbarco avvenne su un fronte di 60 km, in cinque spiagge diverse. La scelta dei nomi in codice delle spiagge fu affidata ai comandanti alleati. Gli americani scelsero un loro stato (Utah) e una loro città (Omaha) di cui erano originari due sottufficiali. Il generale britannico Montgomery propose due nomi di pesce: goldfish (pesce rosso) e swordfish (pesce spada), poi abbreviati in Gold (oro) e Sword (spada). Il tenente colonnello canadese Dawnay scelse Juno, il nome della moglie.
Fu la più grande operazione militare di tutti i tempi. Gli alleati solo in quel giorno misero in campo 155 mila soldati, con 1.200 navi da guerra, 4.120 mezzi da sbarco, 950 carri armati e 13 mila aerei. A fronteggiarli trovarono 50 mila tedeschi, con 890 aerei, 21 navi, 127 carri armati, che si erano preparati alla battaglia piantando i famosi “asparagi” di Rommel (pali alti e acuminati, conficcati al suolo per sventare l’attacco dall’alto) e scavando bunker e trincee nel cosiddetto Vallo atlantico, il sistema di fortificazioni naziste che dalla Norvegia arrivava fino a Bordeaux.
L'annuncio dello sbarco venne dato alla resistenza francese il girono prima, con una frase in codice trasmessa da Radio Londra, utilizzando i primi versi della poesia "Chanson d'automne" di Paul Verlaine.
L’operazione iniziò in coincidenza con l’arrivo dell’alta marea. Toccò prima ai paracadutisti, con l’obiettivo di conquistare i ponti e altri punti strategici in territorio nemico. Poi fu la volta dei mezzi da sbarco. Sulle spiagge di Sword, Juno, Gold e Utah (dove combatté anche Jerome David Salinger, il futuro autore de Il giovane Holden) gli alleati ebbero vita facile. A Omaha Beach, invece, chiamata poi la “spiaggia dell'inferno”, la resistenza tedesca fu sanguinosa. La Big Red One, la prima divisione dei marines, venne decimata.
Nei 76 giorni successivi di guerra gli alleati persero 70.000 soldati mentre i tedeschi ebbero 200.000 morti e 200.000 prigionieri. Il 26 agosto 1944, dopo due mesi e mezzo di battaglie attraverso la Francia, le forze anglo-americane liberavano Parigi.
Oggi questo tratto di splendida costa, chiamato Côte de Nacre, ovvero di madreperla, conserva le tracce della battaglia, con i buchi lasciati dai bombardamenti e cimiteri e musei di guerra visitati da turisti di tutto il mondo che testimoniano l’orrore che qui si è consumato.
Lo sbarco in Normandia è stato raccontato da Ernest Hemingway, intrepido cronista al seguito delle truppe americane, e fotografato da Robert Capa e ha ispirato film e canzoni: dalla pellicola premio Oscar di Steven Spielberg “Salvate il soldato Ryan” (1998) alla serie tv “Band of brothers” (2001), fino alla hit del gruppo heavy metal britannico Iron Made “The Longest Day” (2006).
Ma pochi sanno che in quei giorni in Normandia c’erano anche diversi italiani, come ha ricostruito qualche anno fa il documentario “D-Day - Lo sbarco in Normandia. Noi italiani c'eravamo” (2009) diretto da Mauro Vittorio Quattrina. Tra di loro c’erano internati militari che scelsero con dignità e coraggio di non aderire alla Repubblica Sociale e furono costretti ai lavori forzati dai tedeschi ma anche italiani che fecero la scelta opposta e si arruolarono nella Wehrmacht e nella Luftwaffe e furono impiegati nelle batterie antiaeree.

(Il Mattino, 7 giugno 2014)

I cervelli nazisti da Hitler allo Zio Sam

di Mario Avagliano

Chi l’avrebbe mai detto che dietro la mitica navicella spaziale Apollo 11, che il 20 luglio 1969 alle ore 20.18 atterrò sulla Luna, si nascondesse lo zampino di Adolf Hitler! Ebbene sì, perché il progetto del razzo statunitense Saturn V fu elaborato e diretto dal barone nazista Wernher Magnus Maximilian von Braun. Il geniale inventore dei razzi V1 e V2, che colpirono Londra e il Belgio nell’autunno del 1944 e che nelle intenzioni del Füehrer dovevano costituire l’arma segreta della Germania per raggiungere la sospirata Endsieg (la vittoria finale).
La storia di von Braun e del gruppo di scienziati nazisti (fisici, chimici, medici) arruolati da Zio Sam nell’immediato dopoguerra nell’esercito a stelle e strisce è stata ricostruita in un libro da poco uscito con grande clamore negli Stati Uniti, firmato da Annie Jacobsen, reporter del «Los Angeles Times Magazine» e già autrice del bestseller «Area 51», la base super segreta usata come poligono per centinaia di esperimenti nucleari.
Il saggio, uscito in Italia per i tipi della Piemme, s’intitola «Operazione Paperclip» (pp. 588, euro 20), nome in codice della missione dei servizi segreti americani (prima l’Oss e poi la Cia) che si pose l’obiettivo di sottrarre i cervelli tedeschi e i loro segreti scientifici all’Unione Sovietica. Paperclip si traduce in italiano «graffetta», allusione abbastanza scoperta ai dossier degli scienziati, che furono sapientemente ripuliti dai servizi segreti americani.

Tale operazione, come ricostruisce la Jacobsen, venne condotta con grande spregiudicatezza e consentì di salvare anche veri e propri criminali di guerra. Le nuove identità degli scienziati venivano allegate ai fascicoli con delle graffette, da cui il nome della missione. Fino agli anni Settanta, furono almeno duemila gli scienziati stipendiati e coccolati dalle istituzioni americane, ricoperti di premi e riconoscimenti.
La ricerca della Jacobsen, attraverso la documentazione inedita di archivi anche tedeschi, interviste e testimonianze, segue le vicende post-guerra di 21 di questi cervelloni tedeschi dal passato non proprio irreprensibile: 8 di loro erano stati stretti collaboratori di Hitler, Himmler o Goering, 15 avevano aderito al partito nazista e 10 facevano parte del corpo delle SS.
Gli anni oscuri delle loro esistenza furono cancellate, con la promessa dell’oblio in cambio dei loro servigi scientifici. I servizi segreti statunitensi erano infatti convinti che tra comunisti e nazisti, fossero i secondi il male minore.
La figura simbolo di questo cinico riciclaggio di cervelli è quella del barone von Braun, nato nel 1912 a Wirsitz in Prussia e seppellito con tutti gli onori ad Alexandria in Virginia nel 1977, da cittadino naturalizzato americano.
Von Braun si era iscritto la partito nazista nel 1937 e tre anni dopo era diventato ufficiale delle SS. Himmler lo promosse tre volte, fino al grado di maggiore. Il brillante scienziato progettò i missili V2 (Vergeltungswaffe 2, o arma di rappresaglia 2), che fecero migliaia di vittime nella capitale britannica. Per produrre i suoi razzi, von Braun non si fece scrupolo di costringere forzatamente migliaia di deportati del lager di Mittelbau-Dora a lavorare in condizioni disumane (e spesso a morire) in fabbriche che erano nascoste nel cuore della montagna per sfuggire ai bombardamenti alleati.
Nella primavera del 1945 von Braun si consegnò assieme alla sua équipe all’esercito americano, entrò nell’organico militare Usa e venne poi assunto definitivamente alla Nasa, l’agenzia governativa creata per contrastare l’egemonia dell’Urss nella corsa allo spazio. Qui l’ex ufficiale delle SS divenne direttore del nuovo Marshall Space Flight Center e progettista del veicolo di lancio Saturn V, il superpropulsore che portò la missione Apollo sulla Luna. Alla sua morte è stato definito «il più grande scienziato dei tecnica missilistica ed aerospaziale della storia».Due altri casi emblematici. Il primo è quello di Otto Ambros, ingegnere chimico, inventore dei gas letali utilizzati dai nazisti, che sperimentò nei laboratori di Auschwitz con cavie umane. Nonostante la sentenza di condanna al processo di Norimberga, Ambros nel 1952 fu liberato e spedito con biglietto di sola andata in Usa a lavorare per l’azienda chimica W.R. Grace e per il dipartimento Usa dell’energia.
Il secondo è quello di Theodor Benzinger, che sotto il Terzo Reich era stato un medico di solida fede nazista, responsabile di un centro sperimentale della Luftwaffe. Alla sua morte, nel 1999, il «New York Times» gli dedicò un appassionato necrologio in cui lo si lodava per l’invenzione del termometro auricolare.
Due dei tanti curriculum whitewashed, ripuliti e resi immacolati, in nome della sicurezza nazionale e della logica spietata della guerra fredda.

(Il Mattino, 21 luglio 2014)

 

 

  • Pubblicato in Articoli

Storie - Musiche dai lager

di Mario Avagliano

Le Monde gli ha dedicato un’intera pagina, intitolata «Le juif de Barletta» (l'ebreo di Barletta). Il ministero della cultura francese, nel dicembre 2013, lo ha insignito del titolo di cavaliere dell’Ordine des Art set Lettres. Eppure Francesco Lotoro, il barbuto pianista pugliese, classe 1964, che in ventitre anni di viaggi per il mondo ha recuperato migliaia e migliaia di partiture, documenti, diari e manoscritti provenienti dai lager e dai campi di concentramento, in Italia è misconosciuto e nessuno finanzia le sue ricerche.

Con sua moglie Grazia Tiritiello ha fondato l’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, che raccoglie le opere musicali scritte nei campi di concentramento d’Europa, Africa settentrionale e coloniale, Asia, Oceania, Usa e Canada dal 1933 al 1945.

Anche nei lager nazisti vi furono casi di orchestre formate dai deportati. Famoso il caso di Terezin, dove l’attività musicale era diffusa. Il violinista Karel Fröhlich a Theresienstadt, nel maggio 1944, suonò Sarasate e Paganini pur sapendo di avere di fronte un pubblico composto da deportati che il giorno dopo sarebbero stati trasferiti ad Auschwitz e annotò nel suo quaderno: «per quelli che sopravviveranno, tutto questo avrà un senso».
E perfino ad Auschwitz la violinista Alma Rosè, nipote di Gustav Mahler, diresse un’orchestra di sessanta strumentiste, voluta da Hoss, maggiore delle SS, che aveva il compito di accompagnare le detenute al lavoro, "accogliere" ogni nuovo arrivo di deportati, e suonare per gli ufficiali SS ogni qualvolta lo richiedessero. Ne ha parlato una delle sopravvissute, la pianista e cantante Fania Fenélon, nel suo diario "Ad Auschwitz c' era un' orchestra", scritto dopo la sua liberazione, nel quale scrive che suonare e cantare una musica "è la cosa migliore ad Auschwitz-Birkenau in quanto procura oblio e divora il tempo, ma è anche la peggiore perché ha un pubblico di assassini".

Lotoro è un vero e proprio cacciatore di musiche, scritte su quaderni o fogli di fortuna, ricordate a voce dai sopravvissuti o anche «incise» a carbonella su carta igienica, come la composizione di Rudolf Karel, prigioniero della resistenza polacca. Ad oggi sono più di 4 mila le opere da lui trovate e trascritte su pentagramma, grazie ad indagini presso memoriali, musei, archivi, biblioteche, librerie specializzate in Italia, Israele, Germania, Austria, Polonia, Repubblica Ceca e alla collaborazione con i principali musicisti di riferimento di questa produzione musicale (Joza Karas e Bret Werb negli Usa, David Bloch in Israele, Robert Kolben e Gabriele Knapp in Germania, la recentemente scomparsa Blanka Cervinkova in Repubblica Ceca).

L’obiettivo di Lotoro è riuscire a pubblicare entro il 2015 i dieci volumi dell’Enciclopedia Thesaurus Musicae Concentrationariae (Kz Music), enciclopedia in quattro lingue contenente centinaia di partiture scritte nei lager corredate di introduzione storica, analisi critica delle opere e CD. Un’impresa titanica, che meriterebbe un’attenzione da parte delle istituzioni italiane.

(L'Unione Informa e Moked.it del 22 luglio 2014)

  • Pubblicato in Storie

Da Orbetello a Chicago per ricordare la trasvolata di Balbo

di Mario Avagliano

Ci fu un’epoca in cui l’Arma azzurra, l’aviazione italiana, era ai vertici mondiali, con recordman dell’aria come Francesco De Pinedo e Arturo Ferrarin. La più grande impresa della storia dell'aviazione civile mondiale di tutti i tempi, e cioè la trasvolata atlantica che partendo da Orbetello il 1° luglio del 1933 portò 24 idrovolanti italiani S55 Savoia Marchetti a percorrere per la prima volta la rotta artica oggi utilizzata da tutti gli aerei di linea tra l’Europa e gli Stati Uniti, fu compiuta da una squadra di 107 piloti italiani (due morirono durante il viaggio) guidata da Italo Balbo detto “pizzo di ferro”.
Quell’impresa mitica, durata 43 giornate, rivive ottanta anni dopo in una mostra inaugurata a Orbetello il 26 luglio scorso e in un libro in due lingue, italiano e inglese, intitolato "Mari e cieli di Balbo" (Edizioni del Girasole, pp. 256, euro 20), a cura di Ivan Simonini, con prose letterarie del giornalista e scrittore Alberto Guarnieri, che propone una preziosa sezione di 350 documenti del periodo (immagini, grafici, comunicati, telegrammi, telefonate, radio intercettazioni), in parte inediti e in parte a colori, ed è arricchito da quindici litografie in tecnica mista realizzate per l’occasione dal pittore emiliano Nani Tedeschi e da un ampio apparato storico-critico (con postfazione di Paolo Mieli).

ll protagonista del racconto di Guarnieri è il generale Balbo, classe 1896. Un personaggio controverso. Originario di Ferrara, repubblicano, interventista nella Grande Guerra e decorato per meriti bellici, esponente di spicco dello squadrismo agrario e quadrumviro della marcia su Roma, guidò le squadracce fasciste contro gli arditi del popolo comunisti a Ferrara, Ravenna e Parma. Ma quale sottosegretario per l’Aeronautica, a partire dal novembre 1926, fu il vero fondatore dell’Arma azzurra, dandole un’anima ed esaltando la tecnologia made in Italy.
L’avventura di Balbo al centro del libro è la trasvolata oceanica, la cosiddetta crociera del decennale della marcia su Roma. Per ironia della sorte, proprio nel 1922 il Commissariato dell’Aeronautica aveva bocciato il primo esemplare degli S55. Fu Balbo a trasformare gli idrovolanti da brutti anatroccoli in celesti metallici cigni e scegliere come motori gli Isotta Fraschini, nonostante le proteste della Fiat.
L’aereo di Balbo si chiamava I-Balb e la formazione a punta di lancia utilizzata per la trasvolata ancora oggi è denominata “un balbo”.
Quando la “centuria alata” ammarò a Montreal, in Canada, poi a Chicago dove era in corso l’Esposizione Universale e infine a New York, Balbo e i piloti italiani furono accolti da festeggiamenti colossali, con ali di folla ad applaudirli e organizzazioni di parate. A Chicago li portarono in un stadio, a New York sfilarono sulla 5° Strada e al Madison Square Garden c’erano 400 mila persone ad ascoltare il discorso del gerarca. Suscitando l’irritazione e la gelosia di Benito Mussolini, Balbo fu ricevuto a Washington, con onori da capo di stato, dal presidente americano Roosevelt.
Il giorno dopo il ritorno degli eroi del volo a Ostia Lido, il 13 agosto del 1933 il duce riservò ai Balbo-boys il passaggio sotto l’Arco di Costantino. Ma la popolarità di Balbo in Italia e all’estero faceva ombra a Mussolini e così appena qualche mese dopo egli fu inviato in esilio dorato in Africa, con l’incarico di governatore della Libia. Dopo di lui l’aviazione italiana perse il contatto con l’evoluzione tecnologica ed iniziò una lunga fase di declino. Il gerarca-aviatore morì in volo su Tobruk, il 28 giugno 1940, all’inizio della seconda guerra mondiale, colpito in circostanze oscure dalla nostra contraerea.
La mostra "Mari e cieli di Balbo" volerà oltreoceano il 10 agosto a Montreal e il 14 agosto a Chicago, punto di arrivo degli “aeronauti”, dove ancora c’è una strada a lui intitolata, Balbo Avenue. La trasferta è stata organizzata in collaborazione con gli Istituti Italiani di Cultura delle due città, in occasione della Settimana Italiana di Montreal e della Festa Italiana di Chicago. Sarà l’occasione per il sindaco di Orbetello, Monica Paffetti, di lanciare la proposta di un concorso di idee internazionale per recuperare l'idroscalo della città, da cui partì l’impresa, per farne magari un museo della trasvolata.

(Versione più sintetica pubblicata su Il Messaggero del 30 luglio 2014)

  • Pubblicato in Articoli

Graziani, il sacrario e il collaborazionismo con Hitler

di Anna Foa

Affile, piccolo comune del Lazio, noto per aver dato i natali al maresciallo Graziani e per avergli offerto sepoltura, inaugurerà sabato un sacrario alla memoria del ministro della Difesa del governo di Salò. Nell'inevitabile polemica derivata da questa notizia, il sindaco di Affile ha minacciato di querela l'ANPI, che opponendosi al sacrario ha detto che Graziani era stato condannato per crimini di guerra, sostenendo che questi era stato condannato invece per collaborazionismo (nel 1948, una condanna a diciannove anni di cui scontò solo due anni).
Qui le versioni della stampa divergono, in alcune si dice "per collaborazionismo", in altre "solo per collaborazionismo". Senza il "solo", infatti, quel che il sindaco di Affile vuol dire è che il collaborazionismo con i nazisti è stato un fatto positivo, di lealtà all'Italia, non un crimine di guerra. Se ci aggiungiamo il "solo", vuol dire che il collaborazionismo è piccola cosa, assai minore dei crimini di guerra, e che non vale la pena di fare tanto chiasso in proposito. Dal punto di vista storico, è vero che il maresciallo Graziani è stato condannato "soltanto" per il reato di collaborazionismo, come per collaborazionismo, oltre che per tradimento, fu processato in Francia Pétain, condannato a morte e salvato dalla grazia di De Gaulle. Ma la storia ci dice anche, fondandolo su prove irrefutabili, che il maresciallo Graziani ha ordinato l'uso dei gas, l'iprite in particolare, in Abissinia, e ha ordinato rappresaglie sulla popolazione civile, impiccagioni, repressioni senza numero. Il fatto che il tribunale lo abbia condannato "per collaborazionismo", e non per questi suoi crimini di guerra, ci fa forse dimenticare che cosa comportava la collaborazione con i nazisti che avevano invaso il nostro paese? Arresti di ebrei operati in prima persona dai militi della RSI, da Graziani diretti, e consegnati alla deportazione, il proclama che porta la sua firma in base al quale i soldati italiani che non accettarono tale collaborazione furono inviati in deportazione (oltre seicentomila!), repressioni e violenze di ogni tipo nella lotta contro la Resistenza. Aspettiamo il processo per diffamazione minacciato dal sindaco di Affile per dire tutti insieme che Graziani fu un criminale di guerra, e per dirlo a voce alta appoggiandosi, stavolta, sui documenti della storia.

(l'Unione Informa, 6 agosto 2012)

  • Pubblicato in News

L’archiviazione della Strage di S.Anna di Stazzema: “E’ un atto grave e inaudito”

di Carlo Smuraglia*

Il provvedimento di archiviazione di Stoccarda, nei confronti di alcuni residui imputati della strage di S. Anna di Stazzema, è semplicemente inaudito e colpisce per la sua gravità, dimostrando che in Germania, insieme a persone che hanno “capito” (vedi i discorsi di Schultz a Marzabotto e a Sant’Anna) ce ne sono altre che ancora non vogliono arrendersi di fronte alla durezza della storia e della realtà.
Possibile che la giurisdizione di un Paese prescinda del tutto da quanto si è accertato (e in modo definitivo) in un altro Paese? Certo, non esiste un obbligo di legge di conformazione a quanto altrove accertato, anche se nella sede più alta, ma che si possa addirittura archiviare “per mancanza di prove” per una vicenda storicamente accertata e per la quale dieci cittadini tedeschi sono stati condannati in Italia, in tutti i gradi del giudizio, all’ergastolo, è veramente inaudito e incredibile, perché significa che non ci si è resi conto della orrenda tragedia compiuta, per mano tedesca e fascista, nell’agosto 1944, e non si è pensato non solo alle ragioni imposte dal diritto ma neppure a quelle imposte dalla umanità.
Così le 560 vittime, i loro familiari, i loro figli e nipoti, restano sullo sfondo, come figure
irrilevanti, perché non si è stati in grado di capire che così si rinnova il loro dolore, visto che da anni invocano verità e giustizia, senza successo, perché hanno ottenuto sentenze in Italia, che non sono state eseguite e perché quella di Stoccarda pretende oggi di chiudere anche l’ultimo sipario. C’è da restare attoniti e sgomenti a fronte di provvedimenti come questo, che si muovono – peraltro – su un filone mai estinto ed al quale non è mancato l’apporto della Corte dell’Aja, che ha dato più rilievo al ruolo diritto che non ai valori ed ai diritti umani.
Bisogna perseguire la verità ed affermare le ragioni della storia, contrapponendole ad ogni
tentativo di ridurre la gravità estrema di quanto accaduto in Italia, tra il ‘43 e il ‘45, ad opera della barbarie di una parte dell’esercito tedesco, spesso con l’aiuto dei fascisti.
Bisogna terminare di costruire la mappa delle stragi, avvenute in tutta Italia, completare ed
arricchire le ricerche storiche, condurre in porto i procedimenti penali ancora aperti davanti ai Tribunali militari di Verona e Roma. Ma bisogna anche ottenere una discussione parlamentare seria su tutta la vicenda delle stragi, sulle responsabilità tedesche e fasciste, ma anche sulle responsabilità collegate all’ignobile vicenda dell’armadio della vergogna; responsabilità che devono essere finalmente dichiarate e riconosciute a tutti i livelli, nella loro complessità non solo giuridica ma anche politica. Quindi, deve andare avanti la interrogazione presentata da un intero gruppo di Senatori e reiterata anche alla Camera e bisogna raccogliere tantissime firme sotto la petizione popolare lanciata a Marzabotto.
E infine, bisogna premere sul Governo perché si proceda nella “trattativa” con la Germania, che doveva avviarsi dopo la sentenza dell’Aja e di cui da mesi non si sa nulla. Anche sul punto risarcimento e riparazioni occorre raggiungere qualcosa di concreto e certo, mentre si sta sempre aspettando non si sa bene cosa.
Noi ci riteniamo impegnati a tutto questo e riteniamo che sia la migliore risposta ai Magistrati di Stoccarda, così come ai tanti tentativi di far cadere l’oblio su vicende imprescrittibili perché hanno oltrepassato ogni confine, abbattendosi su civili inermi, su persone ree solo di esistere, calpestando diritti umani che dovrebbero essere intangibili.
Ed è anche questo il modo migliore per esprimere la solidarietà più forte, affettuosa e sincera, alle vittime, ai sopravvissuti ed ai familiari della strage di S. Anna di Stazzema, così come a tutte le vittime ed i familiari della strage di Marzabotto e di tante altre terribili stragi.

* Presidente nazionale dell’Anpi

  • Pubblicato in News

Storie – Il bunker segreto di Hitler

di Mario Avagliano 
 
Si torna a parlare delle armi segrete naziste. È stato ritrovato in Austria un bunker gigantesco dove, secondo le primi ricostruzioni, gli scienziati e i tecnici di Adolf Hitler avrebbero lavorato ai test per realizzare una rudimentale bomba atomica e alla produzione del micidiale missile V2 (Vergeltungswaffe, in tedesco arma di rappresaglia), che fu utilizzato dalla Germania nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale per colpire la popolazione di Gran Bretagna e Belgio. Si tratta di un complesso sotterraneo, largo più di 75 acri, nei pressi della piccola cittadina di St Georgen, non lontano dal lager di Mauthausen-Gusen. La scoperta risale a fine dicembre ed è stata resa ufficiale e rilanciata dal quotidiano inglese The Independent. 
A portare alla luce il bunker segreto è stato il documentarista Andreas Sulzer, che da anni indaga sulle fabbriche di morte sotterranee del Terzo Reich e che è risalito alla località grazie ad un’annotazione di diario di un fisico tedesco che aveva lavorato nella struttura e al rapporto di una spia americana della Cia del 1944 nel quale si parlava della possibile esistenza di un programma di produzione di armi nella zona. Per individuare il sito, Sulzer e i suoi collaboratori hanno effettuato alcuni test scientifici, scoprendo in prossimità del bunker un alto livello di radiazioni. Durante gli scavi, sono stati rinvenuti elmetti nazisti e altri manufatti delle SS. 
La cosa curiosa è che all’epoca dei fatti la stessa Raf inglese, con un velivolo militare di ricognizione, aveva scattato diverse immagini aeree del luogo, sospettando che nelle cavità sottoterranee fosse nascosta una struttura bellica tedesca. Ma neppure le ispezioni compiute nella zona nell’immediato dopoguerra consentirono di scoprire il bunker, che era stato ben nascosto dai nazisti. 
 
Sulzer ha affermato che si trattava di «un enorme complesso industriale e probabilmente il più grande campo di produzione di armi per il III Reich». In queste cavità migliaia di deportati lavorarono alla costruzione dei missili V2 (un’altra fabbrica del missile era situata nel campo di concentramento di Mittelbau-Dora). Forse anche alcune armi chimiche vennero sperimentate nella struttura e il quotidiano The Independent azzarda l’ipotesi che gli scienziati tedeschi lo abbiano utilizzato pure come laboratorio per il progetto di realizzazione della bomba atomica che, per fortuna, non riuscirono mai a portare a termine. 
Nella costruzione del bunker morirono migliaia di deportati di varia nazionalità. Sulzer sostiene che furono prelevate “centinaia di prigionieri per le loro abilità specifiche, come chimici, fisici o altri esperti, per lavorare a questo progetto mostruoso”. A dirigere il bunker segreto fu chiamato il generale delle SS Hans Kammler, che in quegli anni supervisionò la costruzione dei lager nazisti e fu il responsabile della realizzazione dei missili V2 e del sistema di gallerie sotterranee del Terzo Reich, che comprendeva i campi di Ebensee, Mauthausen e Gusen. Kammler nel dopoguerra entrò nel programma "Paperclip", nome in codice della missione strategica dell'Oss il cui obiettivo era di reclutare gli scienziati nazisti, cancellando il proprio passato, acquisendo una nuova identità e diventando un cittadino americano. 
Secondo le prime ricerche del team di Sulzer, questa struttura segreta era collegata, attraverso lunghi tunnel che correvano sottoterra, ad altri siti militari, tra i quali il B8 Bergkristall, la fabbrica segreta dove venne costruito il Messerschmitt Me 262, il primo caccia a reazione della storia. 
Un altro sito collegato era quello di Mauthausen-Gusen. Nelle gallerie di Gusen già nel 2012 sono stati rilevati elementi di radioattività «26 volte superiori alla norma» che fanno pensare all'esecuzione di test nucleari. Lo storico Rudolf Haunschmied ne è convinto ed ha affermato che dai documenti risulta che "più si avvicinava la fine della guerra, più Gusen diventava cruciale. Hitler esigeva di essere costantemente informato su Gusen. Tutta l'area del campo fu dichiarata 'zona vietata', il lager stesso venne completamente minato. Nessuno, in caso di sconfitta, doveva conoscere la verità". La ricerca continua.
 
(L'Unione Informa e Moked.it del 13 gennaio 2015)
  • Pubblicato in Storie
Sottoscrivi questo feed RSS