'1938. Diversi': ecco il documentario sulle leggi razziste contro gli ebrei

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/08/2018, a pag. 32, con il titolo "Quando l’Italia capì di essere razzista", la recensione di Natalia Aspesi.

Prima fuori concorso alla Mostra, poi su Sky Arte, "1938. Diversi" il film di Levi e Treves per non dimenticare la vergogna di quei tragici eventi Quell’anno, il 1938, segnò il tempo del massimo consenso per il Duce: chi si aspettava da lui il riscatto, il predominio, la felicità, riempiva le piazze, persino più dei salviniani di oggi. La minoranza altra si occultava, spaventata, colpevolizzata, ridicolizzata ancor più di adesso, e allora in pericolo di vita. In un clima di tale asservimento entusiasta, bastarono cinque mesi, da luglio a novembre, per dividere gli italiani di serie A di "razza ariana" (in realtà molto miscelata), da quelli di serie B, perché di "razza ebraica". «Sono impressionanti le immagini di Benito Mussolini che nella Trieste del 18 settembre (in agosto era stato pubblicato il "manifesto della razza", ndr) raggiunge il palco da cui instaura l’antisemitismo come un fondamento dell’ideologia di regime».

Lo dice Sergio Luzzatto, storico e saggista, nel documentario di Sky Arte 1938- Diversi (il 4 settembre in anteprima fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia). «Per ricordare, per sapere, per capire, per risvegliare l’interesse dei giovani con un linguaggio diretto», dice il regista Giorgio Treves. «Anche io ne sapevo poco. I miei genitori avevano lasciato l’Italia nel 1940 con l’ultima nave diretta negli Stati Uniti, io sono nato a New York nel 1945. Della vita familiare a Torino mio padre non parlava mai». Il produttore Roberto Levi c’era, nel 1938 aveva 4 anni, ma la sua famiglia riuscì a fuggire in Svizzera prima dell’invasione nazista e l’inizio delle deportazione nel novembre del 1943. La velocissima campagna antiebraica si conclude il 14 novembre ’38 in parlamento dove, ricorda la storica Liliana Picciotto, «l’approvazione di questi decreti-legge avviene in un’atmosfera di consenso furibondo a Mussolini. In pochi minuti si decise la sorte degli ebrei d’Italia». 80 anni fa, uno dei nostri tanti, tragici, vergognosi anniversari. Da un diario, letto dall’attore Roberto Herlitzka: «La maestra chiamò il mio nome, e disse, "Bassi esci dalla classe". Mi ritrovai nel grande cortile assolato della Diaz. Solo, e scoppiai a piangere».

Liliana Segre, senatrice e sopravvissuta ad Auschwitz: «Molto spesso venivano in casa i poliziotti, ci trattavano da nemici della patria, con un atteggiamento di disprezzo, rude, di sospetto, che mi dava vergogna e paura, soprattutto paura». Aldo Zargani, scrittore: «Mi accorsi di essere ebreo, che stava cominciando qualcosa di terribile, il giorno in cui mio padre fu licenziato dall’orchestra dell’Eiar e diventammo una famiglia miserabile». Poco a poco, studenti e insegnanti ebrei vengono allontanati da ogni ordine scolastico: vietati i testi di autori ebrei, via dagli impieghi pubblici, via dall’esercito, via dal partito fascista (anche quelli fascistissimi che avevano partecipato alla marcia su Roma e si erano iscritti ancora prima), proibiti i matrimoni misti, allevare piccioni, avere una cameriera cattolica, affittare le stanze ai non ebrei, poi anche andare al mare. Su certi negozi c’era il cartello "vietato agli ebrei" ricordano senza stupore Luciana Castellina, Picciotto e altri. La minoranza ebraica italiana (uno su mille) era molto integrata soprattutto da quando, nel 1848 lo Statuto di Carlo Alberto di Savoia — lo racconta lo storico Alberto Cavaglion — aveva concesso ogni diritto, compresa la fine dei ghetti, agli ebrei. Allora, si chiede il film, in che modo Mussolini, il fascismo, sono riusciti a "inoculare" negli italiani l’antisemitismo? Con l’incessante propaganda al cinema, alla radio, coi manifesti, con le parate, con le canzonette, con i giornali, con le esibizioni a torso nudo del Capo, persino con la moda e il lusso per i ricchi e la battaglia del grano per i contadini; tutti in divisa, adulti e bambini, libro e moschetto (adesso forse il moschetto, ma non il libro), con il martellamento sulla superiorità fisica e intellettuale degli italiani, anche se allora in parte analfabeti e stroncati dai lavori faticosi. Una festa continua, una festa nel 1935 con la guerra d’Etiopia, spiega lo storico Mario Avagliano, e il razzismo rancoroso contro i "negri", gli africani (che del resto è rimasto una bella eredità). Poi con la guerra di Spagna contro i comunisti, oggi molto dormienti, e Mussolini che dichiara: «Quando finirà la Spagna, inventerò qualcosa d’altro. Il carattere degli italiani si deve creare nel combattimento». E inventa gli ebrei. Il documentario rappresenta la nostra pericolosa acquiescenza e fiducia al capo decisionista, in un tempo in cui non esistevano né tweet né selfie. Sfatata per l’ennesima volta l’idea degli italiani brava gente, perché se ci fu chi nascose e aiutò gli amici ebrei, tanti approfittarono della loro persecuzione o stettero zitti, come molti intellettuali. Non Toscanini, però e neppure papa Pio XI: morì prima che la sua enciclica antirazzista potesse uscire, ma disse «L’antisemitismo è un movimento odioso con cui noi cristiani non dobbiamo aver nulla a che fare. Spiritualmente siamo tutti semiti». Hanno ragione gli autori a definire il film necessario perché «quegli eventi sia pure in modo diverso tornano a minacciare il nostro futuro. Abbiamo il dovere di mobilitarci e impedirlo». Con l’ultima immagine confusa di un carro bestiame verso il nulla, il doc si ferma sull’abisso del Dopo, per raccontare le responsabilità del Prima.

(pubblicato su informazionecorretta.com)

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#Venezia75 – 1938 Diversi, di Giorgio Treves

di Fabio Fulfaro

Oggi il mondo ci è precluso, siamo soli nello spazio che per noi è divenuto freddo e la sua ricca vastità ci è inaccessibile. Siamo terribilmente soli
Espulsi dall’ambiente, accettati nell’incertezza dei senza patria. Siamo soli come due ebrei soltanto possono essere soli.
Enzo Arian

Il 18 settembre 1938 a Trieste, facendosi largo tra due ali di folla in delirio, Benito Mussolini pronunciava uno dei suoi discorsi sulla inferiorità della razza ebraica e sulla necessità di mettere in atto provvedimenti che isolassero gli ebrei italiani in quanto “diversi”. Il 5 settembre e il 17 Novembre dello stesso anno venivano firmati due regi decreti che richiamavano gli odiosi comandamenti del Manifesto della Razza del precedente 14 Luglio: è la promulgazione delle leggi razziali e l’espulsione degli ebrei dalla vita pubblica.
A 80 anni da quell’infame periodo, Giorgio Treves e Luca Scivoletto con la produzione di Roberto e Carolina Levi per la Tangram Film, propongono un toccante documentario che alle interviste di diversi saggisti e storici alterna le dolorose testimonianze di chi quelle leggi le ha vissute sulla propria pelle. Attraverso il fuoco incrociato di racconti e documenti, si riesce a fare luce su uno dei momenti più oscuri della nostra storia. Uscito stremato dal primo conflitto mondiale, il popolo italiano sembra affascinato da una idea di nazione forte militarmente, cosciente della propria superiorità e desiderosa di espandersi in Africa (“libro e moschetto balilla perfetto”). Il colonialismo nostrano, che sfocia nella guerra di Etiopia, è caratterizzato da un razzismo e una intolleranza verso le persone di colore, giudicate inferiori. I discorsi populisti, le canzonette come Faccetta Nera, gli articoli tendenziosi sulla stampa e le vignette satiriche convergono tutte verso l’odio per l’africano, diventato pacco postale o merce di scambio, schiavo sessuale o manodopera da sfruttare. Finita vergognosamente la campagna coloniale africana, fallita miseramente la guerra di Spagna, Mussolini cambia obiettivo. E’ curioso pensare che prima del 1937, gli ebrei erano comunque rispettati per il loro sacrificio durante la I guerra mondiale e alcuni di loro aderivano con convinzione al Partito Nazionale Fascista. Per questioni meramente politiche (l’allineamento con il partito nazionalsocialista tedesco) proprio nel 1937 il Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop) aveva organizzato attraverso la stampa, la radio e il mezzo cinematografico una campagna mediatica diffamatoria che discriminava gli ebrei, dipinti come vigliacchi, avidi di denaro, traditori della patria.

Treves fa analizzare le cause di questa follia ideologica attraverso le parole apparentemente asettiche di studiosi ed esperti come Mario Avagliano, Sergio Luzzatto, Liliana Picciotto, Alberto Cavaglion, Luciana Castellina, Michele Sarfatti, Marcello Pezzetti, Edoardo Novelli, Walter Veltroni. I devastanti effetti li ascoltiamo attraverso i terribili ricordi di Rosetta Loy, di Alessandro Treves, di Roberto Bassi, di Bruno e Liliana Segre: le umiliazioni a scuola, l’isolamento dalla vita civile, le fughe precipitose in America o in Svizzera, la deportazione ad Auschwitz da quel maledetto binario 12 della Stazione Centrale di Milano.
Quando il discorso tende a farsi più personale, Treves saggiamente inserisce delle animazioni che fanno da filtro a questo materiale emozionale. Mantenere vivo il ricordo significa prevenire quello che Umberto Eco chiama l’eterno ritorno del fascismo, pronto a manifestarsi quando alla regressione economica si associa una rapida involuzione culturale. Scorre più di un brivido lungo la schiena mentre Roberto Herlitzka declama le parole di Enzo Arian o quando Liliana Segre parla di una linea nera continua che parte dalla firma di Vittorio Emanuele (il regio decreto sui Provvedimenti per la razza italiana) e si ingrossa sui binari di un treno per l’inferno.
Giorgio Treves non si limita a narrare i fatti ma propone una via per risorgere dalle ceneri di questo passato ignobile: dei ragazzi fuori dalla scuola ridono e parlano spensieratamente, forse è da loro che bisogna ripartire, perché le nuove generazioni non possono non sapere. Queste immagini e questa sofferenza devono servire a futura memoria, se la memoria ha un futuro.

(pubblicato su sentieriselvaggi.it)

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“1938. Diversi” di Giorgio Treves è tra i vincitori dei Nastri d’Argento per i Documentari 2019

Il film documentario “1938. Diversi” di Giorgio Treves è stato premiato durante la cerimonia di consegna dei Nastri d'Argento per i Documentari 2019 come "Miglior Documentario - Cinema del reale".

Prodotto da 
Tangram Film in collaborazione con Sky ArteMibactAB Groupee AAMOD, e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte - Piemonte Doc Film Fund, “1938. Diversi” mostra come articoli, vignette, fumetti e filmati contribuirono a trasformare, in pochi mesi, gli ebrei dapprima in "diversi" e poi in nemici della nazione. La voce di alcuni testimoni diretti, la ricostruzione di episodi realmente accaduti e il contributo di importanti studiosi di storia (tra cui Mario Avagliano, Michele Sarfatti, Sergio Luzzatto e Alberto Cavaglion) aiutano a comprendere il ruolo decisivo che i mezzi di comunicazione di massa ebbero in una delle vicende più tragiche dell'umanità.

Nastri d'Argento sono l’iniziativa più importante nel calendario delle manifestazioni organizzate dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani
Riconosciuti dal 
MiBACT Premio di Interesse Culturale Nazionale, sono il più antico riconoscimento per il cinema italiano, secondi nel mondo, per ‘anzianità’, solo agli Academy Awards: i giornalisti cinematografici iscritti al SNGCI li assegnano infatti dal 1946, attraverso un voto con scrutinio notarile, che premia ogni anno i migliori film, autori, interpreti, produttori e tecnici.

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Eichmann, il boia nazista chiese la grazia a Gerusalemme

di Mario Avagliano
 
   Fino all’ultimo momento il criminale nazista Adolf Eichmann provò a negare le sue responsabilità nella Shoah, affermando di essere stato un «semplice strumento» di Adolf Hitler. È quanto risulta dalla lettera manoscritta dello stesso Eichmann, datata 29 maggio 1962, che oggi, in occasione della Giornata della Memoria, il presidente israeliano Reuven Rivlin ha deciso per la prima volta di rendere pubblica. Una missiva di quattro pagine, indirizzata all'allora presidente d’Israele Yitzhak Ben-Zvi, di cui già si conosceva l’esistenza (ne aveva parlato tra gli altri Hannah Arendt nel suo libro La banalità del male), ma non il contenuto.
Nella lettera Eichmann sosteneva che il tribunale israeliano avesse esagerato il suo ruolo nell'organizzazione della logistica della «soluzione finale», vale a dire nello sterminio degli ebrei. «Bisogna distinguere i responsabili dalle persone che come me sono state semplici strumenti nelle loro mani», scrisse l'ex ufficiale delle SS. «Io non ero un responsabile e non mi sento quindi colpevole» (...) «pertanto non ritengo giusto il giudizio della corte e vi chiedo, signor presidente, di esercitare il vostro diritto a concedermi la grazia, così che la condanna a morte non venga eseguita».
In realtà il funzionario tedesco, classe 1906, era stato uno dei protagonisti della persecuzione degli ebrei in Europa. Già all’età di ventotto anni venne incaricato dalla Gestapo di occuparsi della questione ebraica. Segretario della conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 che decise la «soluzione finale», curò in prima persona il meticoloso piano dei trasporti ferroviari di deportazione degli ebrei, contribuendo al perfetto funzionamento della macchina di morte nei lager di Auschwitz e della Polonia orientale (Belzec, Sobibor, Treblinka).
Nel 1945 Eichmann, al pari di altri gerarchi nazisti, riuscì a far perdere le proprie tracce, imbarcandosi nel 1950 a Genova per l’Argentina, con un passaporto falso intestato a Ricardo Klement. Il funzionario nazista lavorava in uno stabilimento della Mercedes a Buenos Aires quando venne individuato dagli agenti del Mossad, i servizi segreti israeliani. Rapito l’11 maggio 1960, fu trasportato a bordo di un aereo in Israele, dove venne processato e condannato a morte nel 1961.
La lettera – insieme a quella con cui Ben-Zvi respinse la richiesta di grazia – è stata esposta nella residenza dell’attuale presidente israeliano Reuven Rivlin, nell’ambito di una mostra inaugurata ieri e dedicata al celebre processo del 1961, che riaccese l’attenzione sulla Shoah, mandato in onda in diretta tv mondiale e svoltosi presso il Beit Haam, la Casa del Popolo di Gerusalemme.
Proprio in questi giorni è uscito in numerose sale cinematografiche italiane, come evento speciale per la Giornata della Memoria, The Eichmann Show, film di produzione britannica, diretto da Paul Andrew Williams, che ripercorre tutte le tappe produttive della diretta televisiva delle 121 udienze del processo, narrando fra l’altro, grazie a videocamere nascoste, le reazioni di Eichmann di fronte alle testimonianze dei sopravvissuti.
Eichmann venne impiccato poco prima di mezzanotte del 31 maggio 1962 in una prigione a Ramia. Come prescriveva il verdetto, il suo cadavere venne cremato e le sue ceneri disperse da una motovedetta israeliana nel Mediterraneo, al di fuori delle acque territoriali d’Israele. Il suo processo venne seguito per la rivista New Yorker da Hannah Arendt, che lo descrisse come «un esangue burocrate» che si limitava ad eseguire gli ordini e ad obbedire alle leggi. Una tesi poi messa in discussione da vari studiosi e che è stata di recente demolita da un saggio della filosofa tedesca Bettina Stangneth, intitolato Eichmann prima di Gerusalemme. La vita non verificata di un assassino di massa, che lo ha identificato come un carrierista rampante e ambizioso e un nazista fanatico e cinico, che agì con incondizionato impegno per difendere la purezza del sangue tedesco dalla «contaminazione ebraica».

(Il Messaggero e Il Mattino, 28 gennaio 2016)

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Storie - La Memoria degli internati militari

di Mario Avagliano

  La legge istitutiva della Giornata della Memoria del 2000 riguarda, oltre che la Shoah e la persecuzione degli ebrei, anche i deportati politici e gli internati militari. All'indomani dell'8 settembre 1943, infatti, le truppe naziste nell'occupare l'Italia, scatenarono una caccia all'uomo nei confronti degli ebrei, con la complicità del redivivo fascismo di Salò, ma anche una feroce repressione dell'opposizione politica e sociale, con la deportazione di antifascisti, resistenti civili, partigiani, operai scioperanti. Inoltre l'esercito tedesco catturò e disarmò in Italia e sui vari fronti di guerra (dalla Francia ai Balcani alle isole greche) circa 1 milione di ufficiali e soldati italiani, spesso con l'inganno e non di rado con la collaborazione di nostri connazionali immediatamente schieratisi con la Germania a seguito dell'armistizio.
Di questo milione di soldati, circa 100 mila aderirono subito alle Ss tedesche o alla Rsi e altri 190 mila riuscirono a fuggire o vennero rilasciati.
In 710 mila vennero internati nei campi del Reich e posti di fronte all’alternativa se entrare nell’esercito della Repubblica Sociale, guidata da Benito Mussolini, oppure restare in prigionia, soffrendo la fame e sopportando gli stancanti e snervanti turni di lavoro. La maggior parte di loro, circa 600-630 mila, disse di “no” all’adesione, in nome della fedeltà all’Italia, al re e all’ideale di libertà, anche se una quota non irrilevante (oltre 100 mila) optò per la Rsi.

Diverse migliaia di internati morirono nei campi, per le pessime condizioni di vita e di lavoro o anche perché picchiati e fucilati. Anche la loro storia va ricordata.

(L’Unione Informa e moked.it del 26 gennaio 2016)

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Storie - Le scadenze elettorali e il 27 gennaio

di Mario Avagliano 

   Per la politica italiana (o almeno per buona parte di essa) la Memoria sembra essere un orpello inutile. A cicli alterni, negli ultimi anni, riappare nell'agenda dei governi l'ipotesi di abolire festività come il 25 aprile (Festa della Liberazione) e il 1° maggio (Festa del Lavoro) per far aumentare il Pil, il prodotto interno lordo del nostro Paese.

Per non citare le proposte di legge (per fortuna finora mai andate in porto) tese ad equiparare, a vario titolo e per varie finalità (comprese quelle economiche) i partigiani e i militari che fecero la scelta della causa della libertà e i cosiddetti "ragazzi di Salo'", alleati dei nazisti e loro stessi in prima fila nella repressione della Resistenza e nella persecuzione degli ebrei.
L'ultima assurdità in ordine di tempo è l'ipotesi di tenere le elezioni regionali il 27 gennaio 2013, ovverossia proprio la data in cui cade - per volontà dello stesso Stato italiano peraltro -  il "Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti", come previsto dalla legge 211 del 2000.
Tra tante date “utili” e possibili, perché scegliere quella? Giustamente l'Aned, l'associazione degli ex deportati, ha protestato con fermezza. Non è una impuntatura. Le operazioni di voto, com’è noto, si tengono di solito nelle scuole, il luogo per eccellenza della Memoria. Tanti istituti, quindi, verrebbero privati della possibilità di organizzare iniziative in quei giorni.
Il comunicato dell’associazione degli ex deportati è stato riportato con tiepidezza dai media. Al Viminale siede una giurista di alto livello e di spiccata sensibilità, il Ministro Anna Maria Cancellieri. Speriamo che  risponda affermativamente all'appello dell'Aned.

(L'Unione Informa, 7 novembre 2012)

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Giorno della Memoria 2013 – Il coraggio di resistere

Presentato a Palazzo Chigi il programma della quattordicesima edizione del Giorno della Memoria. Filo conduttore di questa edizione "Il coraggio di resistere", tema che verrà sviluppato con particolare attenzione al ruolo avuto nel contesto bellico dalla Resistenza ebraica e alle rivolte nei ghetti e nei campi di sterminio.
A illustrare le specificità di questa nuova sfida, rivolta in primis alle nuove generazioni, il ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione Andrea Riccardi, la coordinatrice dell’Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali della presidenza del Consiglio dei Ministri Anna Nardini, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, il Consigliere UCEI Victor Magiar e lo storico Marcello Pezzetti.

"Dopo aver affrontato negli anni scorsi l'argomento dell'autoritarismo, cioè delle origini delle dittature e quindi le origini delle persecuzioni e delle discriminazioni, - ha spiegato infatti Gattegna - dopo aver affrontato il fenomeno di internet che è diventato uno strumento di propaganda anche delle teorie più aberranti e più folli, quest'anno abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione su coloro che hanno avuto la forza e il coraggio di opporsi attivamente al nazismo". "La testimonianza del Ghetto di Varsavia dimostra - ha proseguito il Presidente UCEI - che gli ebrei non si sono fatti portare passivamente alla morte e il loro fu l'esempio di chi decise di morire con le armi in pugno pur sapendo che la morte era sicura". Gattegna ha poi sottolineato che insieme ai combattenti del Ghetto ci sono state altre categorie di persone che hanno dato la vita per sconfiggere il nazismo, innanzitutto i Giusti che hanno rischiato la propria vita e quella delle loro famiglie per sottrarre vittime alla deportazione, i partigiani, gli eserciti alleati e infine gli scienziati come Rita Levi Montalcini, che anche nei momenti più difficili e bui non rinunciò mai ad impegnarsi nei suoi studi.Sulla stessa linea anche l'intervento di Marcello Pezzetti che ha spiegato che quello del Ghetto di Varsavia non è che l'evento più conosciuto ma che gli ebrei tentarono di ribellarsi perfino nei campi di concentramento con tre rivolte che si svolsero a Treblinka e Birchenau e di cui la gente comune sa poco o nulla.
"Ribellione, rivolta, resistenza, coraggio quattro termini che caratterizzano il taglio delle iniziative che si svolgeranno quest'anno in occasione del Giorno della Memoria" ha infine detto Victor Magiar nel saluto che ha concluso la conferenza stampa.
Fra i numerosi eventi con testimonianze, giornate di studio per i giovani e tavole rotonde che si svolgeranno, la Tavola rotonda Il coraggio di resistere che si svolgerà il 24 gennaio alle 15.30 nella Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla quale saranno presenti voci autorevoli come quella del ministro Riccardi, del presidente UCEI Gattegna, del rabbino capo di Tel Aviv-Yafo Meir Lau presidente di Yad Vashem, poi gli storici Marcello Pezzetti direttore della Fondazione Museo della Shoah e David Silberklang del Memoriale Yad Vashem e Michele Sarfatti della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano. Sempre il 24 gennaio ma alle ore 11 del mattino la Comunità ebraica di Roma organizza un incontro diretto da Marcello Pezzetti con i testimoni della Shoah nel Tempio Maggiore " Dopo la Shoah...Il ritorno alla vita" cui sarà presente rav Lau. Molte le iniziative anche fuori della Capitale, sempre per citarne solo alcune, nella Reggia di Caserta il 23 gennaio sarà inaugurata la mostra "1938-1945. La persecuzione degli ebrei in Italia. Documenti per una Storia" che rimarrà in cartellone fino all'11 febbraio. A Milano il 27 gennaio, nel corso della cerimonia che si terrà al Memoriale della Shoah Binario 21, sarà presentato in collegamento diretto con il Museo di Yad Vashem, il libro Testimonianza Memoria della Shoah a Yad Vashem, traduzione italiana di "To Bear Witness". Fra le varie iniziative anche l'undicesima edizione del Concorso I giovani incontrano la Shoah.

(L'Unione Informa, 17 gennaio 2013)

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