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Storie – Febbre all’alba del dopo lager

di Mario Avagliano

   Rivivere dopo il lager, grazie alla forza dell’amore. È la storia autobiografica raccontata da Péter Gárdos nel romanzo "Febbre all'alba" (Collana Narratori Stranieri, pag. 234, €17, traduzione di Andrea Rényi), nel quale il regista ungherese ricostruisce l'innamoramento dei suoi genitori, sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti (il padre era stato deportato nel lager di Bergen Belsen) e trasportati in sanatori in Svezia per curarsi.

E' il luglio del 1945 quando Miklos, ridotto pelle e ossa e con una brutta malattia polmonare, raggiunge un campo profughi in Svezia. I medici lo avvertono che ha pochi mesi di vita, ma lui compila una lista di 117 giovani donne, ungheresi come lui, che hanno trovato asilo in altri campi svedesi e, volendo trovare moglie, invia a ciascuna di loro una lettera.
La scintilla scoppia con la diciottenne Lili, anche lei ricoverata. Sarà quel sentimento nato dopo l’orrore del lager a riportarlo alla vita e fargli superare la malattia, nonostante il parere contrario dei medici.
Il figlio Péter, frutto di quella unione, scoprirà com’era nata la storia d’amore dei due genitori solo dopo la morte del padre, quando la madre gli svelerà quel segreto di famiglia, tenuto nascosto per tanto tempo, consegnandogli le circa cento lettere che si erano scambiati all’epoca.
"I miei genitori non mi hanno mai parlato della deportazione, né dei campi, la mia sensazione è che si vergognassero di essere sopravvissuti", ha spiegato Gardos presentando un paio di settimane fa a Milano sia il libro sia un'anteprima del film che ne ha tratto.
Una storia toccante, che ritrae il mondo dei sopravvissuti dei lager e del loro difficile reinserimento nella vita civile. Lo stesso tema affrontato da “Anita B.” di Roberto Faenza.

(L’Unione Informa e Moked.it del 15 dicembre 2015)

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