La recensione della Gazzetta del Mezzogiorno: "Quando in Italia si 'vigilava' sugli ebrei"
- Scritto da Mario Avagliano
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di Michele Pacciano
Il 5 dicembre 1937 il Prefetto di Bari emana la circolare che ha per oggetto «Misure di vigilanza contro attività sovversive», in cui invita le forze di polizia del territorio a vigilare sugli ebrei, considerati «Setta perniciosa, disseminata in tutto il Mondo, mossa da interessi economici», che «conduce – come è noto – una lotta accanita, aperta contro il Nazismo tedesco e subdola contro il Fascismo» Proprio da questo primo atto semiufficiale, proprio qui in Puglia, cominciò sottotraccia la persecuzione degli ebrei italiani che avrebbe portato alle leggi razziali e alla Shoah.
A 75 anni di distanza, quel periodo e quegli atti rimangono una ferita ancora aperta. Siamo sicuri, noi italiani, di non essere stati razzisti, di non essere stati conniventi, o peggio delatori, siamo sicuri di aver fatto tutto il possibile, come popolo e come individui per evitare che si arrivasse alla tragedia della Shoah? E soprattutto, siamo sicuri che il Sud sia stato quell'isola felice, che tanta storiografia si è affrettata ad abbozzare? I documenti dell'Ovra, la polizia politica fascista, ci raccontano un'altra storia: una storia di omissioni e delazioni, di comportamenti discriminatori che l'uomo comune attuava, sapientemente fomentato dalla propaganda per isolare,ostracizzare e poi deportare gli ebrei italiani.
Auschwitz non fu un fulmine a ciel sereno né una tragedia subita da inerti cittadini schiacciati dalla furia nazista, fu invece una pagina nera sapientemente orchestrata dal regime ma anche accettata e condivisa dalla maggior parte della nazione. Troppe volte si è indugiato sull'eroico ruolo dei giusti che al costo della vita hanno salvato,uno, 100 o 1000 ebrei, sorvolando sull'atteggiamento di chi non solo non reagiva ma approvava e collaborava. A fare luce su questo periodo infamante del nostro passato recente, contribuisce ora l'opera degli storici Mario Avagliano e Marco Palmieri. Nell'anniversario della proclamazione delle leggi razziali, il saggio "Di pura razza italiana", (Baldini & Castoldi ed. pagg 446, Euro 18,00) apre uno squarcio inquietante nella nostra memoria rimossa, sfatando luoghi comuni e comode verità. Gli italiani non furono tutti brava gente, ma per paura, calcolo convenienza, divennero parte attiva delle persecuzioni in un drammatico quadro nazionale, la Puglia diventa prima avamposto e poi retrovia di quel razzismo antiebraico che da latente divenne istituzionale e organizzato. Non mancarono,anche da noi, di gesti di coraggio e di ribellione ma si trattò soprattutto di atti individuali dettati da un forte senso etico più che da un comune sentire. Né valga ad assolverci il fatto che gli ebrei fossero stati espulsi dalla Puglia in dal 1492. l'odio di razza si accanì soprattutto contro gli studenti stranieri e gli esuli di origine ebraica di passaggio sul nostro territorio. Episodi di esecrabile viltà furono compiuti soprattutto a Bari e Taranto ad opera degli esponenti più fanatici del Guf, la gioventù universitaria fascista che si macchiò di varie spedizioni punitive. L'editore Vito Laterza era osservato speciale dell'Ovra, e quando gli chiesero delle sue presunte origini ebraiche, rispose con ironia ai vagheggiamenti burocratici dei suoi persecutori. In queste pagine si pongono interrogativi insoluti, che ci fanno sentire, tutti, un po' meno innocenti.
(La Gazzetta del Mezzogiorno, 21 dicembre 2013)