Intervista a Rocco Di Blasi, giornalista

di Mario Avagliano
 
 
“Salerno negli anni Settanta era una capitale della destra”. Rocco Di Blasi, originario di Pagani, ma cresciuto e formatosi a Salerno, dal 1992 direttore del settimanale Il Salvagente, l’organo di informazione italiano più autorevole del mondo del consumo e dei consumatori, ricorda ancora Piazza della Concordia affollata di gagliardetti neri e di bandiere tricolori ai comizi di chiusura della campagna elettorale del segretario del Movimento Sociale Giorgio Almirante. Da Roma, dove vive da oltre vent’anni, con un rilevante “incursione” di 5 anni a Bologna, Di Blasi ripercorre le tappe della sua carriera nel Pci salernitano e poi nel quotidiano l’Unità, raccontandoci di come conobbe l’allora giovane studente in medicina Vincenzo De Luca.
 
Lei è nato a Pagani.
Sono nato a Pagani, anche se ho frequentato le scuole medie e il liceo al “Gian Battista Vico” a Nocera Inferiore. Pagani e Nocera erano città per certi aspetti simili e per altri aspetti profondamente diverse. Erano simili per la forte rigidità di classe: i ricchi erano ricchi e i poveri erano poveri, e per molte famiglie la fatica di vivere era davvero grande. Penso ai lavoratori stagionali che erano impiegati solo d’estate, durante la raccolta dei pomodori. Le donne stavano ben attente ad essere messe incinte durante il periodo di lavorazione, per poter poi usufruire ella cassa mutua. 
E in che cosa erano diverse Nocera e Pagani?
A Nocera c’era una forte tradizione operaia, grazie alla presenza dei Mulini e dei Pastifici. A Pagani, invece, la sinistra non esisteva, era stata distrutta. Quei pochi che si opponevano allo strapotere della classe dirigente democristiana, guidata dal professor Ferdinando D’Arezzo, fratello di Bernardo D’Arezzo, si rivolgevano al Msi più che al Pci.
Gli anni della sua gioventù sono stati caratterizzati dal mito del Sessantotto.
A Nocera c’era un grande fermento, come nel resto d’Italia. Ricordo per esempio la battaglia per la chiusura dell’Ospedale psichiatrico, assieme agli allievi di Basaglia. I centri di aggregazione dei giovani nocerini erano un Centro servizi culturali dell’Enaip e il giornale scolastico Top, che era diffuso al Gian Battista Vico e nelle altre scuole superiori. Io ero uno dei fondatori e fu su quel foglio che feci le prime esperienze di giornalismo. D’altronde in quel periodo, il tema sociale, il tema politico e il tema culturale s’intrecciavano strettamente. 
Dopo la laurea in filosofia, si è trovato a un bivio: o la carriera universitaria o la politica.
Adesso forse farei scelte diverse, ma in quel momento la politica era la mia passione. Iniziai a lavorare come funzionario del sindacato dei contadini, diretto da Elio Barba. Io ero giovane e inesperto e quando proposi uno sciopero generale delle campagne, mi spiegarono che era una follia. Per i contadini sarebbe stato come scioperare contro se stessi. Avrebbero fatto marcire i pomodori sulle piante! 
Dopo un anno passò al Pci, come responsabile della propaganda della Federazione Provinciale. 
Il Pci era in uno stato di forte isolamento. A Salerno comandava la Dc, ma aveva sulla sua destra una forza consistente, sia in città che in tutta la provincia. Puntammo a riorganizzare la presenza del Pci tra la gente, anche attraverso una propaganda politica meno ingessata. In occasione della campagna sul divorzio, fummo tra i primi in Italia ad inventarci un comizio-spettacolo, a Piazza Malta. Partecipò anche la cantante napoletana Miranda Martino, che ebbe il coraggio di esporsi in prima persona. Ci diede una mano anche la Tipografia Boccia, che ci faceva sempre credito e ci consentiva di pagare una volta all’anno tutti i manifesti e i volantini che stampavamo. Ricordo che dicevo ad Orazio Boccia che era “un benefattore dell’umanità”.
E’ vero che fu lei ad organizzare le prime Feste dell’Unità a Salerno?
La Federazione in quegli anni era diretta da un giovane intellettuale, Franco Fichera, che ora è docente universitario a Roma. Assieme a lui pensammo di organizzare le prime Feste dell’Unità, che si tenevano nella villa comunale. Ricordo che riuscimmo a portare a Salerno Antonello Venditti. Francesco De Gregori, invece, ci diede buca all’ultimo momento, e fummo costretti a sostituirlo dalla sera al mattino con Gianni Morandi, che allora era in fase calante e fu disposto a venire, nonostante il preavviso così breve.
Fu in quel periodo che conobbe Vincenzo De Luca?
Era una domenica sera. La Festa dell’Unità era appena finita, e bisognava smontare i tubi innocenti del palco e degli stand. Tutti quelli del partito erano già andati via. Mi ritrovai in villa comunale solo con un giovane studente in medicina, neppure iscritto al Pci. Si chiamava Vincenzo De Luca, e quella notte mi aiutò a smontare il festival, ma non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il futuro sindaco di Salerno.
Allora nelle file del Pci salernitano militava anche un certo Michele Santoro... 
Michele si iscrisse al partito dopo l’esperienza con Servire il Popolo, insieme al suo amico Adolfo Criscuoli. Agivano sempre in coppia e insieme cambiarono il modo di fare politica del Pci. Erano due persone che non accettavano lo stato delle cose e contribuirono a modernizzare il partito. D’altra parte a metà degli anni Settanta furono tantissimi i giovani e gli intellettuali che furono attratti dal Pci. Penso a Filiberto Menna e ai suoi brillanti assistenti, ad Achille Bonito Oliva, all’architetto Roberto Visconti. A Salerno era forte anche una componente cattolica che veniva dalla lettura di Lettera a una professoressa di don Milani. Quando Veltroni ha detto di non essere mai stato un comunista, ha detto una verità. Molti arrivavano al Pci come strumento di giustizia sociale, non perché credevano nell’ideologia marxista. Anche per me è accaduto lo stesso. C’era un pezzo di borghesia che non se la sentiva di stare con la conservazione.  
Lei è stato anche consigliere comunale a Pagani.
E’ stata un’esperienza politica difficile. Ricordo che in quella campagna elettorale chiudevo i comizi nelle piazze con lo slogan “Il popolo è forte, unito vincerà”, però alla fine prendemmo forse neppure mille voti. In tutto il consiglio comunale eravamo solo in due del Pci: io e Fernando Argentino. Poi c’erano i due consiglieri del Psiup, uno dei quali era Diego Cacciatore, un socialista, un socialdemocratico e ben 17 consiglieri democristiani e 7 del Movimento Sociale. La Dc sembrava imbattibile. Anche perché noi avevamo una visione della politica da assemblea studentesca, non comprendevamo che in realtà i voti passavano per altri canali.
Nel 1976, improvvisamente, lascia Salerno e si trasferisce a Napoli. Come mai? 
Ci fu un fortissimo scontro politico all’interno del Pci salernitano, che allora era dominato da tre figure nobili: Ninì Di Marino, Tommaso Biamonte e Giuseppe Amarante.  Il segretario Franco Fichera si dimise e io fui “esiliato” a Napoli. Mi salvò Abdon Alinovi, segretario regionale del Pci. Mi disse che c’era bisogno di un capocronista alla redazione napoletana dell’Unità. Io già collaboravo all’Unità e alla Voce della Campania, e ci andai di corsa. 
Come fu l’esperienza a Napoli?
Furono anni di grande interesse. Nella redazione di via Cervantes, tra il 1976 e il 1980, si trovò a lavorare una generazione straordinaria che ha fatto una carriera eccezionale: Antonio Polito ora è direttore del Riformista; Gigi Vicinanza dirige la Città; Marco De Marco è direttore del Corriere del Mezzogiorno del Sud; Federico Geremicca è capo della redazione romana della Stampa; Maddalena Tulanti dirige il Corriere del Mezzogiorno a Bari; e Franco Di Mare è stato inviato di guerra e conduce Uno Mattina.   
Nel 1980 fu chiamato alla redazione centrale di Roma.
Quando la terra tremò, nel novembre del 1980, per caso mi trovavo a Salerno, dove ero andato a trovare mia madre. Il giornale mi chiese di restare lì e di seguire come inviato i tragici fatti di quei giorni. Ricordo i paesi dell’Irpinia distrutti dal sisma e Antonio Bassolino in lacrime. Ma c’è un episodio in particolare che non potrò mai dimenticare.
Quale?
In quel dopo terremoto mi trovai un giorno a Nocera, a seguire un’assemblea di operai e di cittadini. C’era anche il sindaco di Pagani Marcello Torre, che era un democristiano perbene, un dc di sinistra, che era stato anche Presidente della Provincia. Torre fece un intervento molto preoccupato. Ma c’era un clima brutto, che non dipendeva non solo dall’emergenza terremoto. Scrissi un articolo su di lui che si concludeva con una sorta di presagio: Torre ha paura, anche perché “gli assassini nell’agro nocerino girano a piede libero e, presumibilmente, a mano armata”. Non era un pezzo di stretta attualità e il giornale decise di rinviarne la pubblicazione. Alle otto di mattina del giorno dopo, Torre venne ammazzato dalla camorra. L’Unità pubblicò il mio pezzo senza modificare una virgola, con una breve introduzione in cui si spiegava come e quando era nato l’articolo.
Dopo sedici anni all’Unità, nel 1992 Di Blasi è andato a dirigere il settimanale Il Salvagente.
E’ stata ed è tuttora un’esperienza bellissima, anche se si tratta di un incarico di grande responsabilità, perché dalle mie scelte editoriali dipende anche la vita professionale (e non solo) di altre persone. Infatti la proprietà del giornale è una cooperativa di giornalisti, di cui faccio parte anche io. Però ne è valsa la pena. Siamo riusciti a diventare un giornale rispettato da tutti e soprattutto siamo il punto di riferimento dell’intero mondo dei consumatori, che pure al suo interno è fortemente diviso.
Nel frattempo a Salerno diventava sindaco il suo amico Vincenzo De Luca. Da giornalista obiettivo, che giudizio da’ del suo sindacato? 
Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, Salerno era una città rassegnata, che peggiorava di mese in mese. Ricordo che nelle vetrine dei negozi scompariva tutto, perché i commercianti avevano paura del racket e di essere taglieggiati. Il degrado sembrava inevitabile. Salerno era un porto di mare in tutti i sensi: disoccupazione, record di tossicodipendenti, delinquenza. De Luca ha capovolto totalmente la situazione. Con lui Salerno ha rialzato la testa, ha cambiato volto e ha dimostrato che le città del Mezzogiorno non sono condannate a seguire un percorso di involuzione, ma possono seguire anche una strada alternativa. 
E la Salerno di oggi, come le sembra?
Guardi, in particolare nel nostro Sud, affiora sempre il rischio di tornare indietro. Le cronache di Napoli di questi giorni lo dimostrano. Non credo che sia il caso di Salerno, anche se ho l’impressione che negli ultimi anni la città si sia un po’ adagiata su se stessa, come un ciclista che vuole scattare in salita ma ha smesso di pedalare e quindi s’inchioda. Non c’è il livello di allarme di Napoli, ma noto un po’ di paciosità eccessiva. Spero di sbagliarmi.
 
(La Città di Salerno, 5 dicembre 2004)
 
 
Scheda biografica
 
Rocco Di Blasi è nato a Pagani il 2 giugno del 1948. Ha frequentato le scuole medie e il liceo al “Gian Battista Vico” a Nocera Inferiore. Ha vissuto a Salerno dal 1967, ma ha frequentato l’Università di Napoli, laureandosi a 22 anni in filosofia, con il professor Cleto Carbonara, con una tesi sul pragmatismo americano (110 e lode). Nel 1970 si iscrive al Pci. E’ consigliere comunale a Pagani per quattro anni. Subito dopo la laurea, vince una borsa di studio Svimez-Cnite, dedicata alle nuove tecnologie dell’educazione, con uno stage in Scozia presso l’Università di Glasgow. Passa anche un’ulteriore selezione, che da’ diritto a una borsa di un anno. E, come nel film “Sliding doors”, c’è un bivio: di qua l’università, di là la politica. Rinuncia alla carriera universitaria e diventa funzionario dell’Alleanza contadini, il sindacato dei contadini.  Ci resta poco più di un anno; viene chiamato a lavorare alla “Stampa e propaganda” della federazione Pci. Inizia a collaborare con le pagine regionali de “l’Unità” e con “La Voce della Campania”. Dal 1976 al 1980 è capocronista de “l’Unità” di Napoli, dove valorizza una redazione di giovanissimi che avranno una brillante carriera (tra cui il direttore di questo giornale). Nel 1980 è uno degli inviati nel salernitano del quotidiano del Pci per il terremoto. Dal 1986 al 1991 è redattore capo dei quattro fascicoli quotidiani dell’Unità Emilia-Romagna. Nel 1991 diventa, con Marco De Marco, redattore capo centrale dell’Unità. Dal 1992 è direttore responsabile del settimanale “Il Salvagente”, di proprietà di una cooperativa di giornalisti, diventato un punto di riferimento per i consumatori italiani. 

 

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