Intervista a Fabrizio Failla, telecronista sportivo

di Mario Avagliano

 

Telecronista di calcio e di pallanuoto, commentatore, inviato a bordo campo. Fabrizio Failla è ormai da qualche anno uno dei giornalisti di punta di RaiSport e più amati dagli italiani. Non a caso nel 2002 è stato chiamato a condurre la Domenica Sportiva, assieme a Massimo Caputi e a Giacomo Bulgarelli. Failla, originario di Nocera Inferiore, fa parte attualmente del team della Rai che segue la Nazionale di calcio. Dal Portogallo, dove è stato in viaggio al seguito degli azzurri di Trapattoni, parla della crisi delle squadre di calcio e lancia una proposta choc a Cavese, Nocerina e Paganese: “Le divisioni del passato non hanno più senso. Diamo vita alla squadra di Cava e dell’Agro, in modo da creare un polo alternativo al Napoli e alla Salernitana”.

Ci parli delle sue origini.

Sono nato a Firenze, nella città di mio padre Ernesto, che è neuropsichiatria, ma sono vissuto e cresciuto tra Nocera e Salerno. Il mio carattere si è forgiato nel meridione, e se sono una persona felice e sorridente, lo devo alle mie origini salernitane. Ancora oggi i miei migliori amici sono quelli della scuola media e del liceo.

Com’era la Nocera della sua adolescenza?

Era una città devastata dalla camorra. Ricordo che negli anni Ottanta, quando uscivi in piazza, dovevi capire lontano da chi dovevi sistemarti per fumare una sigaretta, in modo da non correre il rischio di essere vittima di una sparatoria. Ho visto molti miei conoscenti finire male o addirittura morire.

Era una città devastata anche dal punto di vista urbanistico?

Purtroppo sì. Nocera era brutta, involuta, con un’architettura orribile e poco rispondente alle esigenze della gente. E dopo il terremoto, la situazione peggiorò ancora. Come molte altre città del Sud, fu presa d’assalto dai gruppi di malaffare. La commistione tra camorra, appalti pubblici e politica ha prodotto parecchi mostri dalle nostre parti.

Non salva niente di quel periodo?

Il ricordo più forte per me resta quello del terremoto del 1980, e in quella occasione a Nocera, a Salerno, a Cava, toccai con mano cosa significa la solidarietà e quanto la gente del Sud sia diversa da quella del Centro-Nord per la straordinaria capacità di fare comunità e di condividere sofferenze, sacrifici, difficoltà.

Immagino che in una situazione del genere, per un ragazzo di Nocera come lei, il giornalismo e lo sport fossero visti come un’ancora di salvataggio...

Non proprio. Fare il telecronista, o comunque il giornalista sportivo, è stato sempre il mio sogno, fin da quando ero bambino ed ascoltavo con i miei amici le fantastiche radiocronache di Tutto il calcio minuto per minuto.

Quando ha cominciato a fare sul serio?

Prestissimo, ad appena 15 anni, a Radio Nocera Amica, nella sede di via Nuova Olivella, al confine tra Nocera e Pagani.  

A proposito di Pagani, lei ha giocato con qualche successo nella Paganese calcio.

Io sono sempre stato trasversale. Ero di Nocera e giocavo nella Paganese. E qualche anno dopo, ho seguito come giornalista la Salernitana...

In che ruolo giocava?

Ero portiere, come adesso nella Nazionale dei giornalisti, dove mi capita di giocare contro i grandi campioni di cui una volta collezionavo le figurine, da Giancarlo Antognoni a Roberto Bettega.

Le sue prime radiocronache risalgono ai tempi di Radio Erta, l’Emittente RadioTelevisiva dell’Agro.

Avevo appena 17 anni ed era la stagione della Nocerina in serie B. Fu un’esperienza bellissima. Mi sentivo più grande della mia età perché il sabato partivo in trasferta, al seguito della squadra, e tornavo a casa il lunedì. Per i miei compagni del Liceo G.B. Vico ero quasi un eroe visto che conoscevo personalmente i giocatori. Anche i professori chiudevano un occhio sulle mie assenze.

Dopo la maturità, si iscrive a Giurisprudenza e nel frattempo continua ad occuparsi di sport come giornalista.

Non avevo né agganci politici né conoscenze giornalistiche, e quindi ho dovuto fatto tanta gavetta. Ho collaborato con Il Tempo, con l’Unione Sarda, con Superbasket, con radio e tv locali, fino a quando, nel 1985, sono finalmente approdato al Mattino di Salerno e a Telecolore. Tre anni dopo, nel 1988, alla vigilia delle Olimpiadi di Seul, sono stato assunto alla sede di Napoli.

Il passaggio alla Rai avviene nel 1991.

E da allora non mi sono più mosso da lì.

Quali sono le esperienze che ricorda con più emozione?

Nella pallanuoto, il titolo mondiale vinto dal Setterosa a Perth, nel 1998. Nell’atletica il record mondiale di Carl Lewis sui 100 metri, ai mondiali di Tokyo del 1991. Nello sci, la vittoria olimpica di Tomba nel 1992. Nel calcio, il ricordo più indelebile è la finale degli Europei in Olanda, compresa la coda non proprio emozionante del pestaggio ai giornalisti della Rai da parte della polizia olandese.

Qual è il collega con il quale si trova più in sintonia?

Sicuramente Carlo Paris, un giornalista eccezionale, di grande sensibilità umana e che anche professionalmente sa andare al di là dello sport. E’ uno dei pochi che in questo mondo non si fa prendere dal delirio di onnipotenza.

Oggi come oggi il telespettatore da casa è bombardato dagli eventi sportivi. Le piace come si racconta adesso lo sport?

Non sempre. A me non piace il cotto e mangiato, e spesso il prodotto che si vede in tv è proprio quello, anche a causa dei ritmi incessanti con cui si lavora. Manca uno sforzo di scavo, di inchiesta, di approfondimento.

Per chi ama lo sport, è inevitabile parlare della crisi del calcio. Come se ne esce?

O passa la linea del “tutti colpevole, nessun colpevole”, oppure il calcio chiude per debiti. Le altre soluzioni, coma quella di far partire le squadre fallite da una categoria inferiore, non mi sembrano praticabili perché magari vanno incontro alle esigenze sociali, ma non rispondono certo al codice civile.

Il decreto salva-calcio escogitato dal Governo non poteva funzionare?

No, perché era ideato solo per salvare la baracca. Era un tipo di soluzione ibrida che avrebbe coperto molte responsabilità. Lo Stato non può prevedere l’assistenza alle squadre di calcio per sempre, “a babbo-morto”. Il calcio ha bisogno di una cura forte. Bisogna sanare sul serio le società, anche a costo di passare attraverso le procedure di fallimento.

Dal suo osservatorio privilegiato, come vede lo stato di salute del Napoli, della Salernitana e delle squadre della provincia.

Gli anni belli del Napoli, della Salernitana, della Cavese e della Nocerina, che veleggiavano tra serie A e serie B, sono finiti, sono ormai alle spalle. Le squadre campane, e più in generale quelle del Sud, versano in una situazione difficile e presentano pesanti problemi economici. Non sono ottimista.

Ha qualche proposta da avanzare?

Mi piacerebbe che si costituisse una squadra di calcio di Cava e dell’Agro, che cioè Nocera, Pagani e Cava unissero le loro forze per dare vita a un polo alternativo al Napoli e alla Salernitana. Le divisioni di un tempo non hanno più senso e, anche dal punto di vista economico, una società del genere sarebbe assai competitiva. Ecco, se questo sogno si realizzasse, sarei disposto anche a dare una mano.

Torna mai a Nocera?

Un po’ meno di una volta, perché purtroppo il Napoli e la Salernitana non sono più in serie A, ma quando sono a Napoli per la pallanuoto, ne approfitto per fare una capatina a Salerno o a Nocera ed andare a trovare gli amici. Poi ho casa al mare ad Ascea Marina e trascorro lì ogni momento libero: è il mio buen retiro, non solo d’estate.

Salerno e Nocera sono cambiate rispetto agli anni Ottanta?

Eccome! Salerno è diventata una città assolutamente deliziosa. La giunta De Luca ha effettuato un restyling intelligente, strutturale, armonioso. Basta vedere i vicoli del Porto o di via dei Mercanti... Il recupero del lungomare e della parte storica, che costituisce la memoria di Salerno, è stato realizzato con gusto estetico e con eleganza.

E Nocera?

E’ cambiata in modo radicale, correggendo fin dove era possibile le brutture del recente passato. Trovo che si è sulla strada giusta anche per quanto riguarda la lotta alla criminalità. La città non è più dominata dalla camorra, e questa è una vittoria di cui tutti noi dobbiamo essere orgogliosi. Apprezzo anche il clima di integrazione razziale che si respira a Nocera come a Salerno, di gran lunga migliore rispetto alle città del Centro-Nord.

Com’è Fabrizio Failla nel privato?

Una persona estroversa, che è felice di vivere perché ha realizzato il sogno di quand’era bambino ma che non si prende mai troppo sul serio. Lo sport occupa gran parte del mio tempo, ma quando posso, ascolto musica o vado al mare. Non amo le tecnologie. Piuttosto che passare ore davanti al computer, preferisco leggermi un bel libro.

L’ultimo libro che ha letto?

L’allenatore, di John Grisham, una storia di amicizia, di amore e di football.

Allora è una fissazione!

Eh, sì. Ho la fissa dello sport, che ci posso fare...

 

(pubblicato su “La Città” di Salerno nell’aprile 2004)

 

 

Scheda biografica

 

Fabrizio Failla è nato a Firenze l’8 maggio del 1961, ma ha vissuto fino all’età di trent’anni a Nocera Inferiore. Laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Salerno, ha iniziato la sua carriera di giornalista ad appena 15 anni di età, nelle radio locali (Radio Nocera Amica e Radio Erta). Dopo le collaborazioni con Il Tempo, l’Unione Sarda e Superbasket, nel 1985 è entrato nella squadra di cronisti del Mattino di Salerno e di Telecolore. Nel 1988 è stato assunto da il Mattino, presso la sede centrale di Napoli, lavorando allo sport e alla cronaca nera. Nel 1991 è passato alla redazione sportiva della Rai. Da tredici anni segue gli eventi più importanti dello sport mondiale, dalle Olimpiadi ai mondiali di calcio, di sci, di pallanuoto e di atletica leggera. Nel 2002 Failla ha condotto la Domenica Sportiva con Massimo Caputi e Giacomo Bulgarelli. Attualmente è nel team dei giornalisti Rai al seguito della Nazionale italiana di calcio.

 

On the Italian road. Intervista a Mario Avagliano (Prima Comunicazione)

di Daniela Scalise

Novant’anni sono un bel traguardo. Per Anas – l’Azienda nazionale autonoma per le strade da poche settimane integrata nel gruppo Ferrovie dello Stato, presieduta e diretta da Gianni Vittorio Armani – lo sono di sicuro. Al di là dell’ovvia ritualità che accompagna i compleanni con la seconda cifra zero, l’occasione per spiegare (ma anche spiegarsi) la funzione di un’azienda sopravvissuta al secolo breve e con ambizioni moderne sembra essere stata curata con molto impegno.

A pensarci è Mario Avagliano, cinquantaduenne giornalista e storico nato a Cava de’ Tirreni che, con precisione e risolutezza, vuole comunicare la realtà di uno degli elementi costitutivi del nostro Paese, quell’infrastruttura viaria che, come ricorda il claim della nuova campagna istituzionale, da novant’anni unisce l’Italia. Sarà forse perché Avagliano è un appassionato studioso e scrittore di storia, ma dietro a ogni mossa si intravede un pensiero riflessivo che interroga continuamente la cultura, la visione temporale e la funzione sociale della strada, simbolo di incontro e di scontro, luogo in cui scorrono tanto la storia ufficiale quanto le storie quotidiane di tutti noi, viaggiatori per diletto o pendolari per dovere.

Da giornalista, Avagliano ne ha viste molte di redazioni: da quella del Messaggero a quella del Mattino di Padova, dal Giornale di Sicilia all’Informazione di Mario Pendinelli. Presto si è appassionato di storia del Novecento ricavando da quella passione una sfilza di titoli, il primo dei quali – ‘Il partigiano Tevere’ – risvegliò l’interesse di un uomo schivo come Vittorio Foa che, cosa per lui inusuale, ci tenne a scriverne la prefazione. L’ultimo lavoro di Avagliano, firmato insieme a Marco Palmieri, è edito dal Mulino e ha per titolo una data cruciale: ‘1948’. Fu infatti in quell’anno che il nostro Paese scelse di appartenere al campo occidentale, fu in quell’anno che si sfiorò la guerra civile con l’attentato a Togliatti, fu in quell’anno che si assistette alla partecipazione massiccia al voto e soprattutto alla nascita di “un certo modo di fare politica: la contrapposizione di bene e male”, come spiega Avagliano, che ha anche un passato nei palazzi della politica, essendo stato nel comitato referendario di Mario Segni e poi chiamato da Ricardo Franco Levi all’ufficio stampa di Romano Prodi, allora presidente del Consiglio. In quella sede incontra il sottosegretario Enrico Micheli, “gentiluomo di altri tempi e figura centrale del governo, come sempre sono i sottosegretari”, che lo chiama a capo del suo ufficio stampa al ministero dei Lavori pubblici dove ‘incrocia’ il soggetto Anas. Sarà l’allora presidente, Giuseppe D’Angiolino, a portarselo in casa.

E così eccolo alla guida della comunicazione di un gigante delle infrastrutture che gestisce la progettazione e il controllo per le nuove opere stradali, segue gli interventi dalla fattibilità all’appalto per la realizzazione e si occupa anche della verifica post realizzazione.

Prima - Quest’anno Anas festeggia i suoi primi novant’an­ni e il suo ingresso in Ferrovie dello Stato dopo aver ot­tenuto tutti i crismi dell’Antitrust. E dire che fino a ieri strada e ferrovia sono state due parallele che non si incon­travano mai.

Mario Avagliano - È vero, si è trattato spesso di due mondi che non si sono parlati. Eppure pensi che una parte notevole della rete stradale e ferroviaria ha una vicinanza misurabile attorno al chilometro mentre per ben 10mila chilometri di rete la vicinanza si riduce fino a duecento, trecento metri di distanza.

Prima - Si sfiorano ignorandosi.

  1. Avagliano - Il che ha comportato aspetti negativi del­la mobilità, perché ci sono stati dei nodi logistici che, come ripete spesso il nostro Amministratore delegato Gianni Vittorio Armani, non essendo stati pianificati in modo coordinato non hanno i collegamenti stradali adeguati. Tanto per dirne due, pen­so all’aeroporto di Malpensa e alla stazione bellissima di Afragola. Ne consegue che pianificare le opere in modo più coerente è già un vantaggio enorme per il sistema Paese. Aggiungo: la nascita di una grande società che metta a fat­tor comune le varie modalità di trasporto rende possibile all’Italia di avere un player più competitivo a livello inter­nazionale e competere con aziende simili – e spesso più grandi – di Francia, Germania e altre nazioni europee.

Prima - Ci racconti quali sono i problemi reali e più im­minenti che dovrà affrontare questa integrazione.

  1. Avagliano - La mobilità, italiana e mondiale, ha come leitmotiv quello iscritto nel segno della sostenibilità am­bientale e sociale. Come può avvenire tutto questo? Da un lato pianificando i progetti, integrando, con una diversa distribuzione, le modalità di trasporto e dall’altro scommet­tendo sull’innovazione, sulla tecnologia e sul minor impat­to ambientale. Ma anche per la comunicazione l’integrazione può avere effetti molto positivi; infatti la collaborazione e il coordinamento con la Direzione Brand Strategy del Gruppo, guidata da Carlotta Ventura, stanno già stimolando e aiutando il nostro lavoro. Mettere insieme le esperienze, i know how, le competenze, le sperimentazioni tecnologiche significa anche far fare un passo in avanti sostanziale alla mobilità.

Prima - Mi faccia un esempio.

  1. Avagliano - Ad esempio, adottare per le strade le tecnologie che si utilizzano sulle ferrovie e prendendo a modello la Svezia dove vi sono corsie dedicate al trasporto elettrificato delle merci. Ma anche guardare alla frontiera della smart road, strade che dialogano con le autovetture, che possano in futuro favorire la guida autonoma e che nel frattempo incrementino il monitoraggio e il controllo sia del traffico e sia della infrastruttura.

Prima - Non dimentichiamoci che viviamo su un territo­rio dalla storia autenticamente antica. Appena fai una buca corri il ‘rischio’ di incappare in un prestigioso e intoccabile reperto archeologico che blocca tutto. In questi casi che fate?

  1. Avagliano - Fino a ieri l’archeologia era considerata un intralcio ai lavori, mentre in realtà Anas è uno dei prin­cipali archeologi d’Italia perché scava nel territorio e sco­pre straordinari reperti in un momento in cui l’archeologia ha pochissimi fondi e poche possibilità di fare scavi. Il pun­to è allora se considerare il ritrovamento di reperti storici una scocciatura o invece una possibilità per una azienda come Anas di offrire un contributo culturale.

Prima - Se così è, come agite in concreto?

  1. Avagliano - Abbiamo firmato un protocollo con il ministero dei Beni culturali per “arruolare” archeologi nei nostri cantieri che ci aiutino nel caso di scoperte e nella ge­stione delle medesime per trattare questi rinvenimenti nel miglior modo possibile. Dall’altro lato, per non continuare a lasciare questi reperti dimenticati in qualche magazzino, abbiamo dato vita a una collana con la casa editrice Rub­bettino sui ritrovamenti effettuati durante i lavori stradali. Abbiamo anche creato l’associazione Archeolog, una onlus che raccoglie fondi tramite l’art bonus, per poter restaurare questi reperti archeolo­gici.

Prima - Le celebrazioni del novantesimo compleanno sono anche un modo per leggere la storia sociale ed econo­mica.

  1. Avagliano - Il nostro tentativo è presentare l’oggetto strada come un vettore non solo del trasporto delle persone e delle merci ma come un luogo scenario della storia italia­na. Quindi tutto il percorso del novantesimo è un tentativo di raccontare quanto le strade siano fondamentali per la nostra vita, nel bene e nel male.

Prima - Che intende quando dice “nel bene e nel male”?

  1. Avagliano - Sulle strade sono fuggite le truppe naziste dopo l’avanzata degli Alleati e le strade sono state teatro delle imprese epiche di Coppi e Bartali e delle MilleMiglia, ma anche testimoni del tragico attentato a Giovanni Falcone, dell’omicidio del magistrato Rosario Livatino… Insomma, la strada è stata e continua a essere scenario, ma anche protagonista della storia italiana, e con il program­ma nel novantesimo cercheremo di raccontare esattamente questo.

Prima - In che modo?

  1. Avagliano - L’8 marzo, alla Triennale di Milano, pre­sentiamo alcune iniziative come ‘Congiunzioni’, un tour a tappe a bordo di un truck che partirà da Trieste ad aprile, attraverserà la penisola e la Sardegna e giungerà a Catania il 17 maggio, giorno in cui, nove decenni fa, venne pubblicato il decre­to di istituzione della Aass, l’azienda autonoma della strada stata­le e nostra antenata. L’obiettivo è quello di ‘congiungere’ la stra­da con altri mondi come quello della cultura, dell’architettura, dell’arte, dell’economia. Sempre in quell’occasione inaugureremo la mostra ‘Mi ricordo la strada’ e presenteremo il volume fotogra­fico realizzato insieme all’Ansa dal titolo ‘La strada racconta’.

Prima - Insomma, volete dare l’immagine della trasformazione delle rotte polverose e piene di sassi in autostrade.

  1. Avagliano - Lei lo sa chi ha inventato l’autostrada?

Prima - Gli americani?

  1. Avagliano - Nient’affatto! È stato un italiano. Un grandis­simo ingegnere, Piero Puricelli, conte di Lomnago, che nel 1924 pensò appunto a una strada solo per automobili senza carri, car­rozze, biciclette e pedoni e con tanto di pedaggio, che ripagasse la messa in opera e la gestione. Il concetto fu copiato da tutti e la parola tradotta alla lettera: highway o motorway in inglese, auto­route in francese, Autobahn in tedesco. Puricelli fu anche colui che propose di creare un’azienda preposta alla cura, alla manu­tenzione e alla gestione di tutta la rete stradale nazionale. Nacque così la Aass che in una decina di anni costruì la rete stradale mo­derna.

Prima - Come verrà organizzato il tour? E con quale missione?

  1. Avagliano - Ogni tappa coinciderà con l’apertura di uno spazio al pubblico, con la presenza di un pullman della Polizia di Stato e un mini villaggio dedicato all’educazione stradale. Ma sarà anche possibile accedere a una serie di contenuti, come il filmato che Rai Storia sta realizzando su Anas, un museo virtuale Anas (MuViAs) sul portale web, realizzato con il Cnr e con il contributo di tanti archivi come quello dell’Aci, delle Ferrovie dello Stato e di altri. A Catania, ultima tappa, stiamo or­ganizzando l’‘Innovations Day’ proprio per ricordare che Anas, en­trata nel gruppo Fs, è proiettata verso il futuro. Si tratterà di una fiera convegno concentrata sulle innovazioni, che non riguardano solo il mondo della strada ma il complesso delle infrastrutture.

Prima - Vedo che vi state muovendo anche sul piano editoriale.

  1. Avagliano - Dopo l’esperienza molto positiva della cam­pagna dell’autostrada del Mediterraneo con il testimonial Giancarlo Giannini e la guida allegata a La Repubblica, abbiamo pensato a una nuova guida – ‘Le strade del cuore’ – sugli itinerari più fascinosi raggiungibili attraverso le strade più paesaggistiche di Anas, dall’Amalfitana allo Stelvio.

Prima - Se capisco bene il raggio di azione della vostra comuni­cazione è vasto e comprende i diversi media: tv, stampa, cinema, fotografia, web.

  1. Avagliano - Oltre al documentario di Rai Storia, dove viene raccontato come, dall’inizio del Novecento a oggi, il nostro Paese si sia modernizzato e industrializzato anche attraverso video sto­rici e interviste a professionisti ed esperti, stiamo realizzando, in collaborazione con Sky Sport, ‘Le strade della passione’, sei pun­tate che andranno in onda sulla piattaforma Sky Sport Hd all’in­terno del magazine ‘Icarus 2.0’ dedicato a chi ama l’out­door. Questo per valorizzare le strade come le vie migliori per seguire la propria passione, il collegamento tra uomo e sport, tra mare e montagna.

Prima - Nel vostro menu leggo che avete intenzione di proseguire anche nell’impegno sul master di giornalismo ‘Connettere l’Italia’, che ha avuto già due appuntamenti: a metà novembre dello scorso anno e il 10 gennaio di questo a Roma.

  1. Avagliano - In collaborazione con il Centro di docu­mentazione giornalistica e con il patrocinio del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti abbiamo infatti organiz­zato ‘Connettere l’Italia’, un corso di specializzazione per i giornalisti. A marzo e a maggio affronteremo temi specifici ma essenziali, come il codice degli appalti e l’iter di appro­vazione di un’infrastruttura e, infine, il futuro della mobili­tà. Vede, io sono giornalista di formazione, e credo che nei giornali ci sia una forte attenzione al mondo della finanza e della Borsa, ma molto meno a quello degli investimenti in­frastrutturali, che pur incidono in maniera rilevante sul Pil e sulla competitività delle imprese e sulla vita dei cittadini.

Prima - Mi dia qualche numero tanto per averne una di­mensione tridimensionale.

  1. Avagliano - Intanto le annuncio una novità impor­tante avvenuta anche grazie all’ingresso in Fs e cioè che abbiamo un contratto di programma che per la prima volta è completamente finanziato.

Prima - Qual è la novità?

  1. Avagliano - Prima, pur avendo un piano quinquen­nale, lo avevamo finanziato solo per un anno, per cui ogni anno dovevi sperare nella conferma con le leggi di bilancio.

Prima - In soldoni?

  1. Avagliano - Il quinquennio finanziato – fra finanzia­mento del contratto di programma, finanziamento della legge di bilancio, investimenti in corso – ammonta a 33 mi­liardi di euro. Un orizzonte di programmazione importante che si tradurrà immediatamente in bandi e cantieri. Già l’anno scorso ci sia­mo impegnati nella progettazione di cantieri e opere crean­do occupazione e migliorando la viabilità. Si sta inoltre verificando un processo inverso al passato: alla fine degli anni novanta e all’inizio del duemila abbiamo assistito a un processo di federalismo stradale, di passaggio delle stra­de da Anas alle regioni. Quando Regioni e Province si sono rese conto che per alcuni itinerari sarebbe stato preferibile avere una società efficiente e strutturata per gestire le complessi­tà, a quel punto ad Anas sono tornate alcune migliaia di chilometri e dai 26mila che abbiamo ora, arriveremo presto ai 30mila. Si tratta di un processo molto importante che vede Anas partner di alcune regioni, come, ad esempio, la Lombardia nella nascita della società Lombardia Mobilità.

Prima - Qual è il rapporto tra voi e le regioni?

  1. Avagliano - In alcune regioni costituiremo società in cui noi siamo il partner tecnico che gestisce le strade, ne cura lo svi­luppo e la manutenzione, mentre la regione è partner istituzionale.

Prima - Il lavoro di comunicazione che lei guida richiede non solo una visione complessa, ma anche una struttura efficiente e ben oleata.

  1. Avagliano - Per quanto possibile, cerchiamo di sfruttare la nostra struttura di comunicazione, secondo gli indirizzi strategici del Gruppo FS. Ma, come è ovvio, non è pen­sabile né sarebbe sensato produrre tutto internamente. Abbiamo quindi aperto una gara per individuare una società che ci facesse da cabina di regia di tutte le attività del novantesimo. Gara che è stata vinta dalla società Alphaomega, che è il nostro consulente per tutte le attività del novantesimo.

Prima - Chi è il vostro responsabile di queste attività?

  1. Avagliano - La project manager del novantesimo è Laura Perna. Possiamo contare anche su gruppi di lavoro che si divi­dono vari aspetti: quelli logistici, gli eventi, le relazioni esterne e comunicazione interna, l’ufficio stampa, diretto da Lorenzo Falciai, l’editoria, il web.

Prima - La vostra campagna istituzionale ha come claim ‘Da 90 anni uniamo l’Italia’. Come è nata questa campagna, da chi è sta­ta lavorata e da chi è gestita?

  1. Avagliano - La società Alphaomega, in qualità di consulen­te, si è occupata di pianificazione e parte creativa. Dal punto di vista iconografico abbiamo scelto di veicolare il novantesimo con un logo che sia un po’ il leitmotiv dell’anniversario, per cui tutti i documenti ufficiali dell’azienda lo riportano perché rimanga nel­la memoria storica.

(Prima Comunicazione, Febbraio 2018)

 

 

 

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