La fine di Pompei? La Storia supera il romanzo
di Mario Avagliano
La storia vera a volte è più creativa di un romanzo. E le vicende attorno alle quali ruotano gli ultimi giorni di vita di Plinio il Vecchio, comandante romano alle prese con una delle catastrofi naturali più devastanti di sempre, l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., rappresentano, di fatto, una novel story a cui difficilmente uno scrittore potrebbe aggiungere qualcosa di interessante. Immaginiamo l'ammiraglio della flotta imperiale, Plinio per l'appunto, impegnato nel disperato tentativo di salvare la popolazione vesuviana in fuga dalla lava bollente e dai lapilli; l'eruzione che per intenderci, distrusse Pompei ed Ercolano. Come caratterizzerebbe, lo scrittore, questo personaggio storico, all'opera in un reale contesto apocalittico? Probabilmente lo raffigurerebbe come un appassionato naturalista, il più grande scienziato romano di sempre. Poi, per attirare l'attenzione del lettore, aggiungerebbe qualche dettaglio passionale, inventandosi che in quella catastrofe fosse coinvolta una donna, e che lei abbia chiesto proprio l'aiuto dell'ammiraglio, col quale, evidentemente, intratteneva un rapporto piuttosto intimo.
Ebbene, incredibile a dirsi, anche questi episodi sono veritieri, confermati da una fonte autorevole; il nipote del comandante, Plinio il Giovane, a sua volta valente scrittore. Ed è lui a raccontare a Tacito, in una nota lettera, la morte del Vecchio, descrivendo nel dettaglio le fasi della spaventosa eruzione e ricordando che la bella ed elegante Rectina, bloccata ad Ercolano, aveva inviato allo zio una disperata richiesta di aiuto. E in altri scritti, sempre il Giovane sottolineava la dedizione agli studi di Plinio, autore delle celebre Naturalis Historia, un'enciclopedia sulle meraviglie del creato giunta sino ai giorni nostri.
Ma le coincidenze non finiscono qui. Già, perché in quell'enciclopedia Plinio il Vecchio si era abbandonato a una digressione sull'arte antica, consentendo ai moderni archeologi di riconoscere alcune tra le mirabili opere greco-romane nei resti scultorei, dipinti e mosaicati che sono venuti alla luce proprio sotto la cenere vesuviana. Allora il cerchio si chiude e con un balzo di duemila anni siamo arrivati ad oggi.
Dicevamo che uno scrittore avrebbe potuto aggiungere poco al racconto. Eppure, Alessandro Luciano, ne "Gli ultimi giorni del comandante Plinio" - edito dalla Marlin editore - è riuscito a dare quel tocco in più, immaginando di ricevere da uno sconosciuto studioso un antico codice miniato ritrovato nella biblioteca dei Girolamini a Napoli che riproduce il diario degli ultimi quattro giorni di Plinio. E facendoci rivivere, con la sapienza dell'archeologo (l'autore lavora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli) e l'estro e la leggerezza del narratore, atmosfere e vicende curiose delle coste campane in epoca imperiale, usi e costumi della società romana, mentre seguiamo con trepidazione il disperato tentativo di Plinio di mettere in salvo due volumi preziosi, la donna amata, dalla "figura esile ma ben proporzionata" e dai "capelli corvini", e la gente in fuga dal Vesuvio, trasportandola a Capri.
Miseno, col suo porto e la torre per le segnalazioni, le terme e le ville di Baia, il foro romano di Cuma, Pozzuoli, Napoli, Pompei, Ercolano e Stabia, città ricche ed animate, riprendono vita nel racconto, così come vengono alla ribalta le idee allora circolanti su arte, storia e filosofia, personaggi dell'epoca, come Rabirio, il presunto architetto del Colosseo, e straordinarie opere d'arte ora conservate nei musei campani. Un romanzo che fa emergere la ricchezza di cultura e la bellezza sconfinata della Campania felix, alla vigilia del disastro naturale che tuttavia l'avrebbe immortalata agli occhi dei posteri.
(Il Mattino, 23 agosto 2019)
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