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“1948 Gli italiani nell’anno della svolta” di Mario Avagliano e Marco Palmieri

“1948 Gli italiani nell’anno della svolta” di Mario Avagliano e Marco Palmieri

La campagna elettorale? Tante bugie e forzature, frasi semplici, ripetute insistentemente, slogan di facile comprensione, che fanno leva su paure, esigenze, ostilità degli elettori italiani. Parliamo delle recenti Politiche (lavoro, sicurezza, reddito di cittadinanza)? No, si tratta delle drammatiche elezioni del 18 aprile 1848 per il primo Parlamento repubblicano, il cui clima e significato sono tra i contenuti di rilievo del volume “1948. Gli italiani nell’anno della svolta” (collana Biblioteca storica, Il Mulino, 2018, pp. 452, edizione a stampa euro 25,00, ebook euro 16,99), a firma dei giornalisti, storici e saggisti Mario Avagliano e Marco Palmieri.
Non ci sono state consultazioni elettorali più risolutive, non c’è stato un anno più decisivo. Uno scontro manicheo, tra bianchi e rossi: da una parte la Democrazia Cristiana, dall’altra il fronte social-comunista. Due mondi contrapposti, democrazia e totalitarismo sovietico, blocco occidentale e blocco orientale, USA e URSS, capitalismo e anticapitalismo, cattolicesimo e ateismo. Del tutto evaporata la concordia responsabile dei partiti della Resistenza.

Qual era la società italiana chiamata a decidere il futuro politico nelle prime elezioni dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e prime anche della Guerra Fredda? I due saggisti la inquadrano perfettamente: è un paese povero, 47 milioni di cittadini (29 milioni chiamati alle urne, a suffragio universale) feriti da venti anni di fascismo, cinque di conflitto mondiale e due di guerra civile. Non si contano le case ancora distrutte, nel 25% delle abitazioni manca l’acqua corrente e nel 73% addirittura il bagno. Dilaga la disoccupazione, molte famiglie sono quasi alla fame. Quattro milioni gli analfabeti, più dei diplomati insieme ai laureati (questi meno di mezzo milione). Il resto ha un tasso di scolarizzazione insignificante, a malapena sanno leggere e fare i conti minimi. Ma c’è tanta voglia di riprendere: i cinema sono affollati, si va in Lambretta e Vespa, si diffondono i dischi a 33 giri.
Il risultato investe del compito di governo la Democrazia Cristiana, forte di un mai più raggiunto 48% dei voti. Lo eserciterà per oltre quarant’anni, alleandosi con altri partiti. In effetti, decide soprattutto il “sistema di valori” nel quale si muoverà la ricostruzione del Paese, favorita dal Piano Marshall, il colossale programma di aiuti economici avviato dagli Stati Uniti per l’Europa e che naturalmente si estende all’Italia, dimostratasi insensibile alle sirene sovietiche. Un miliardo e mezzo di dollari: significa industrie, case, strade, ferrovie, acquedotti, infrastrutture. Lavoro.
Gli aiuti americani rafforzano la simpatia degli italiani per la cultura, il costume, il cinema d’oltreoceano. Un’attrazione consolidata dai contatti con i nostri emigrati e dal ricordo della generosità dei “liberatori”, i militari USA che regalavano pane, cioccolata, scatolette di carne, latte condensato, sigarette e chewingum.

Solo a dicembre era scaduto il piano Unrra delle Nazioni Unite, che aveva consentito letteralmente di sfamare un Paese vinto e discinto dalla guerra.
Nasceva quindi un’Italia certamente libera, una democrazia parlamentare affidabile. E tuttavia si intravedevano i guasti che caratterizzeranno l’Italia dei partiti: diventano un’interfaccia obbligata tra lo Stato e i cittadini, elargiscono favori e prebende, intermediano tra domanda e offerta di lavoro, soprattutto pubblico, la politica si fa mestiere, la burocrazia diventa elefantiaca. Raccomandazioni. Corruzione. Concussione. Interessi privati. Bustarelle. Ed un ruolo lo esercita anche un’invadenza insistente della componente cattolica e curiale.
La DC è il garante di un sistema che doveva restare immutabile. Un Paese congelato in quegli anni, immobile. Di fronte c’è il più forte Partito comunista dell’Europa occidentale, a sua volta stretto tra anime concorrenti, più o meno fedeli alla voce di Mosca. Si è creato quel modello di “democrazia bloccata” che durerà non poco, superando qualche tentativo di apertura reciproca, uno dei quali frustrato dall’omicidio di Aldo Moro nel 1978.

E questo ci porta all’attentato a Palmiro Togliatti. Il 14 luglio, il segretario del Pci è gravemente ferito a colpi di pistola all’uscita da Montecitorio. In Italia la protesta comunista divampa ben oltre il controllo del partito, somiglia a un’insurrezione popolare. Fabbriche occupate, cortei nelle città, dimostrazioni violente, assalti alle caserme dei Carabinieri. Tornano in circolazione le armi partigiane nascoste, l’Amiata diventa una repubblica rossa.
Togliatti stesso invita alla calma, non è tempo di rivoluzione per il PCI. E nemmeno per la CGIL, il forte sindacato di sinistra, guidato con grande senso di responsabilità da Di Vittorio. La classe media e i partiti più moderati non si muovono, ma non approvano il clima di rivolta. Non alimentata politicamente, la protesta si esaurisce. A seguire, il ministro dell’interno Scelba avvia un periodo di repressione. Il bilancio degli incidenti è incerto: almeno 16 morti, 9 dei quali tra le forze dell’ordine, che hanno anche 500 feriti. Si contarono oltre 5100 arrestati e denunciati.

 (pubblicato su sololibri.net)

 

 

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