#Venezia75 – 1938 Diversi, di Giorgio Treves

di Fabio Fulfaro

Oggi il mondo ci è precluso, siamo soli nello spazio che per noi è divenuto freddo e la sua ricca vastità ci è inaccessibile. Siamo terribilmente soli
Espulsi dall’ambiente, accettati nell’incertezza dei senza patria. Siamo soli come due ebrei soltanto possono essere soli.
Enzo Arian

Il 18 settembre 1938 a Trieste, facendosi largo tra due ali di folla in delirio, Benito Mussolini pronunciava uno dei suoi discorsi sulla inferiorità della razza ebraica e sulla necessità di mettere in atto provvedimenti che isolassero gli ebrei italiani in quanto “diversi”. Il 5 settembre e il 17 Novembre dello stesso anno venivano firmati due regi decreti che richiamavano gli odiosi comandamenti del Manifesto della Razza del precedente 14 Luglio: è la promulgazione delle leggi razziali e l’espulsione degli ebrei dalla vita pubblica.
A 80 anni da quell’infame periodo, Giorgio Treves e Luca Scivoletto con la produzione di Roberto e Carolina Levi per la Tangram Film, propongono un toccante documentario che alle interviste di diversi saggisti e storici alterna le dolorose testimonianze di chi quelle leggi le ha vissute sulla propria pelle. Attraverso il fuoco incrociato di racconti e documenti, si riesce a fare luce su uno dei momenti più oscuri della nostra storia. Uscito stremato dal primo conflitto mondiale, il popolo italiano sembra affascinato da una idea di nazione forte militarmente, cosciente della propria superiorità e desiderosa di espandersi in Africa (“libro e moschetto balilla perfetto”). Il colonialismo nostrano, che sfocia nella guerra di Etiopia, è caratterizzato da un razzismo e una intolleranza verso le persone di colore, giudicate inferiori. I discorsi populisti, le canzonette come Faccetta Nera, gli articoli tendenziosi sulla stampa e le vignette satiriche convergono tutte verso l’odio per l’africano, diventato pacco postale o merce di scambio, schiavo sessuale o manodopera da sfruttare. Finita vergognosamente la campagna coloniale africana, fallita miseramente la guerra di Spagna, Mussolini cambia obiettivo. E’ curioso pensare che prima del 1937, gli ebrei erano comunque rispettati per il loro sacrificio durante la I guerra mondiale e alcuni di loro aderivano con convinzione al Partito Nazionale Fascista. Per questioni meramente politiche (l’allineamento con il partito nazionalsocialista tedesco) proprio nel 1937 il Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop) aveva organizzato attraverso la stampa, la radio e il mezzo cinematografico una campagna mediatica diffamatoria che discriminava gli ebrei, dipinti come vigliacchi, avidi di denaro, traditori della patria.

Treves fa analizzare le cause di questa follia ideologica attraverso le parole apparentemente asettiche di studiosi ed esperti come Mario Avagliano, Sergio Luzzatto, Liliana Picciotto, Alberto Cavaglion, Luciana Castellina, Michele Sarfatti, Marcello Pezzetti, Edoardo Novelli, Walter Veltroni. I devastanti effetti li ascoltiamo attraverso i terribili ricordi di Rosetta Loy, di Alessandro Treves, di Roberto Bassi, di Bruno e Liliana Segre: le umiliazioni a scuola, l’isolamento dalla vita civile, le fughe precipitose in America o in Svizzera, la deportazione ad Auschwitz da quel maledetto binario 12 della Stazione Centrale di Milano.
Quando il discorso tende a farsi più personale, Treves saggiamente inserisce delle animazioni che fanno da filtro a questo materiale emozionale. Mantenere vivo il ricordo significa prevenire quello che Umberto Eco chiama l’eterno ritorno del fascismo, pronto a manifestarsi quando alla regressione economica si associa una rapida involuzione culturale. Scorre più di un brivido lungo la schiena mentre Roberto Herlitzka declama le parole di Enzo Arian o quando Liliana Segre parla di una linea nera continua che parte dalla firma di Vittorio Emanuele (il regio decreto sui Provvedimenti per la razza italiana) e si ingrossa sui binari di un treno per l’inferno.
Giorgio Treves non si limita a narrare i fatti ma propone una via per risorgere dalle ceneri di questo passato ignobile: dei ragazzi fuori dalla scuola ridono e parlano spensieratamente, forse è da loro che bisogna ripartire, perché le nuove generazioni non possono non sapere. Queste immagini e questa sofferenza devono servire a futura memoria, se la memoria ha un futuro.

(pubblicato su sentieriselvaggi.it)

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