Intervista a Mario Carotenuto, pittore

di Mario Avagliano
  
“Salerno e la Costiera Amalfitana sono la mia Musa ispiratrice”. A 83 anni di età, Mario Carotenuto non ha perso la verve e l’entusiasmo di un tempo. Nel suo studio di via San Benedetto, ingombro di pennelli e di tele ad olio, dichiara amore eterno alla sua terra, lavora a nuovi dipinti e ceramiche, e progetta una mostra dedicata al tema affascinante del mare. Non nascondendo un forte rimpianto per la straordinaria stagione degli anni Settanta, quando Salerno fu una delle capitale italiane dell’arte. 
 
Dov’è cresciuto Mario Carotenuto?
Sono nato a Tramonti ma la mia fanciullezza l’ho trascorsa ad Angri, dove mia madre, Rosa Mosca, era insegnante elementare. Allora Angri era un paese bellissimo, alle falde del Vesuvio, con forti tradizioni contadine e religiose. Era una terra di lavoro e di prosperità. Sembrava una cittadina della Provenza francese, come Arles, il paese del sud della Francia dove si stabilirono Cezanne e Van Gogh. 
E’ stato un periodo felice della sua vita?
La mia infanzia è stata povera ma felice. Eravamo cinque fratelli. Mia madre era maestra e mio padre musicista, e quindi non vivevamo nell’agiatezza. Tuttavia, ci accontentavamo di poco. Per esempio ricordo con tenerezza i tempi straordinari del cinema muto. Mio padre Amedeo suonava il pianoforte alle proiezioni cinematografiche, nella piazza di Angri, e mi portava spesso con sé. Sono cresciuto guardando le pellicole in bianco e nero di Rodolfo Valentino, di Ridolini e di Charlot, a volte un po’ mosse o un po’ sfocate, ma ricche di arte e di poesia…
Quando ha scoperto il fascino della pittura?
Fin da quando ero bambino sentivo il bisogno di disegnare. Ricordo che quando frequentavo il Ginnasio a Cava, riempivo i fogli bianchi di paesaggi e di ritratti. Forse solo negli anni del Liceo Giovan Battista Vico a Nocera mi dedicai di meno alla pittura, perché avevo timore che mi distogliesse dallo studio del latino e dell’italiano, materie in cui eccellevo. Pensi che componevo direttamente in latino.
Lei quindi è un latinista mancato?
Vinsi un concorso nazionale di prosa in latino, risultando terzo in tutta Italia. Ero destinato a diventare professore di latino. Poi però prevalse l’amore per l’arte… Volevo dipingere e lasciai la facoltà di Lettere dell’Università di Napoli. Sarà un fatto genetico, nella mia famiglia sono tutti artisti: mio padre e mio fratello musicisti, come mio nonno e mio zio. Un fratello di papà, Francesco Carotenuto, era direttore della Banda Presidiaria di Napoli e autore di marce militari. Anche mio nipote, Raffaele Ternullo, suona nei Club Mediterranèe. E così presi il diploma di maturità al Liceo Artistico come privatista e poi mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Chi furono i suoi maestri?
All’Accademia ho avuto la fortuna di avere come maestri due grandi artisti del Novecento italiano. Il futurista Emilio Notte, pittore colto e cosmopolita, mi insegnò il disegno classico tout court. Invece Vincenzo Ciardo, grande paesaggista sul solco della scuola di Posillipo, poi esponente di rilievo del post-impressionismo, mi iniziò all’uso della tavolozza e della pittura ad olio. 
Come ha costruito la sua carriera artistica?
Non ho potuto completare l’Accademia, perché avevo bisogno di insegnare per poter… mangiare. Così ho continuato a studiare da solo, seguendo due indirizzi: cercare di trovare uno stile tutto mio, personale, non influenzato dalla scuola pittorica, e non accodarmi alle mode e alle tendenze del tempo. Questo è stato il mio pregio e il mio difetto.
Lei ha insegnato anche in Cilento?
Nel dopoguerra i primi anni di insegnamento li ho trascorsi in Cilento, a Padula, presso la Certosa, e poi a Laurino. La mia formazione pittorica è iniziata lì. La pace e la tranquillità di quei luoghi, hanno costituito per me un buon viatico.
Nel suo percorso di artista, quanto è stato importante l’incontro con Alfonso Gatto?
Gatto è stata una figura fondamentale nella mia vita, al pari di Notte e di Ciardo. Grazie a lui, ho affinato la mia visione del mondo e certe mie sensibilità. Gatto era un grande poeta e un fine intenditore di arte, oltre che pittore lui stesso. Era un amico vero, una persona perbene, che non si dava arie e che era capace di farsi sentire, di suggerire, ma anche di ascoltare. Le critiche più acute sulla mia pittura, le ha scritte lui.
Qual è la mostra alla quale affettivamente è più legato?
Senza dubbio la mia prima mostra, a Salerno, nel 1953, nella saletta del Turismo a Castel Terracena, in via dei Mercanti. Ricordo ancora la mia emozione nel vedere per la prima volta i miei quadri incorniciati e appesi al muro.
Tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta i suoi quadri sono stati esposti in alcune delle più importanti gallerie di Roma e di Milano, dalla Borgognona alla Galleria Levi. 
In quegli anni ho avuto un successo enorme, di pubblico e di critica, e ho anche venduto tantissimi  quadri. Hanno scritto di me alcuni tra i principali critici italiani, come Alberico Sala, Munari e Dino Buzzati. Ho conosciuto e frequentato artisti come Guttuso, Mafai, Omiccioli, Vespignani, Attardi, Tomea. Ad un certo punto, però, sono uscito dal grande giro, perché non mi sono piegato alle regole del business milanese. Mi hanno proposto contratti in esclusiva che comportavano una limitazione della mia libertà creativa. Volevano che io disegnassi soltanto lune, finestre, farfalle e mari notturni… Altri colleghi hanno accettato il compromesso ma, francamente, io non me la sono sentita. 
Oltre a disegnare e a dipingere su tela, lei è anche un’artista della ceramica.
Ho iniziato a fare ceramica negli anni Cinquanta a Salerno, con Teodoro Cossa. In quel periodo conobbi anche il grande Gambone. Poi negli anni Settanta e Ottanta ho lavorato a Vietri, con Romolo Apicella. Adesso mi servo di una piccola fornace a Ravello. Sono molto contento del mio lavoro attuale, credo che siano le mie opere di ceramica più “raggiunte”, anche perché ho maggiore padronanza degli smalti e dei colori. 
Come tutti gli artisti, anche lei ha avuto periodi diversi di espressione pittorica…
Sì, è vero. Il primo periodo io lo definisco intimista. Prediligevo i ritratti e le piccole nature morte. Nel ’64 è iniziato il periodo del collage. Ho capovolto tutte le mie regole, e ho abbandonato temporaneamente la pittura, sulla scorta della pop art americana. Sul finire degli anni Sessanta, la mia pittura è diventata quasi surrealista. In seguito ho messo insieme tutte queste esperienze.
E oggi Mario Carotenuto che tipo di pittore è?
Sono un pittore figurativo, realista, un po’ nostalgico, non catalogabile in nessuna scuola. Sono un cane sciolto, senza padroni, un artista che crede ancora che la figura possa dire tutto e che ama i colori e i pennelli.
E dal punto di vista caratteriale, come si definisce?
Sono del segno della Vergine, e quindi sono pignolo e fantasioso. La cosa strana è che sono emotivo, a volte un po’ violento, ma anche lento, riflessivo. Un contrasto che mi meraviglia sempre.
Che cos’è la pittura per lei?
Io da giovane ero molto timido, complessato. Quindi la pittura per me è stata una forma di rivalsa. Grazie alla pittura ho scoperto il mio modus vivendi e ho acquisito sicurezza e serenità.
C’è una sua opera che non venderebbe mai?
Il ritratto di mia madre, che risale al 1941, quando avevo appena 19 anni. E non solo perché si tratta di un ricordo di mia madre. E’ un quadro che considero uno dei più riusciti anche dal punto di vista artistico.
Carotenuto e Salerno. Una storia d’amore?
Senz’altro. Mi piace tutto di Salerno: la luce, l’aria, la temperatura, il paesaggio e soprattutto la gente. Ho avuto l’affetto dei salernitani e ne sono fiero. La città è assai cambiata rispetto al dopoguerra, e in meglio. Detto questo, bisogna aggiungere che rispetto agli anni Settanta, a livello culturale Salerno è scaduta.
Cioè?
Veda, la mia generazione ha tentato, con successo, l’innesto nel filone culturale italiano. Negli anni Settanta, grazie a personaggi come Filiberto Menna, Alfonso Gatto, Achille Bonito Oliva, Rino Mele, Edoardo Sanguineti, Salerno aveva un suo posto a livello nazionale ed era frequentata dai migliori artisti del Paese. Oggi è tutto finito. Anche Lelio Schiavone tiene aperta la galleria Il Catalogo per puro dovere di testimonianza, come lui stesso ha detto.  
Si è mai pentito di non essere andato via da Salerno?
No. Io sono figlio della mia terra, con l'orgoglio di essere provinciale. Ho sempre pensato che deve essere il valore di quello che fai che non deve essere provinciale. E poi la mia pittura ha bisogno di radici: Salerno e la Costiera Amalfitana rappresentano per me quello che erano l’Oceania e la Paupasia per Gauguin.
Tra gli artisti salernitani, quali stima di più?
Stimo molto Pietro Lista, per il suo estro e anche perché mi diverte il fatto che artisticamente è l’esatto contrario di me. Ho poi avuto un lungo sodalizio con Paolo Signorino, un buon pittore realista, delicato e perspicace.
Lei è entrato nell’immaginario popolare della città di Salerno. Il suo Presepe dipinto è un appuntamento fisso per i salernitani. Come nacque l’idea?
L’idea nacque per caso, per merito di un mio ex alunno, il professor Peppe Natella, che nella seconda metà degli anni Ottanta mi chiese di disegnare un bozzetto per un presepe. Fu subito uno straordinario successo. E così abbiamo continuato, riempiendo tutta la Chiesa. Ora l’opera si compone di centotrenta pezzi, tutti sagomati e dipinti a grandezza naturale, raccogliendo decine e decine di volti della Salerno popolare. Sono venuti a visitare il Presepe anche personaggi come Vittorio Sgarbi e Franco Zeffirelli.
Lei ha un rapporto speciale anche con la Costiera Amalfitana.
L’ho scoperta tardi, all’inizio degli anni Sessanta, ma me ne sono subito innamorato. Da molti anni ho casa a Minori e passo lì ogni estate. La Costiera è entrata nel mio mondo artistico, con i suoi colori, i suoi paesaggi, la sua poesia.  
A quale progetto sta lavorando adesso?
Sto preparando una mostra di ceramica che si terrà a luglio e ad agosto a Ravello. E poi ho un grande sogno: realizzare una mostra sul mare, sulle spiagge delle mie estati a Minori, fatta di disegni e di quadri… Un atto d’amore verso la Costiera amalfitana, per tutto quello che mi ha dato nella mia vita di uomo e di artista.
 
 (La Città di Salerno, 12 marzo 2006)
 
Carta d’identità
 
Mario Carotenuto, pittore, è nato a Tramonti (SA) il 4 settembre 1922.
Hobby: colleziona statuette votive di creta
Libro preferito: I classici della letteratura mondiale, in particolare Madame Bovary e L’educazione sentimentale di Flaubert, L’idiota di Dostoevskij a Anna Karenina di Tolstoj. Tra i libri più recenti, L’imitazione di Cristo.
Film preferito: La Regina Cristina, con Greta Garbo; La vita è una cosa meravigliosa di Frank Capra; i film del neorealismo italiano, in particolare Roma città aperta di Roberto Rossellini (“non so quante volte l’ho visto”).
 
 
 
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