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Intervista a Fernando Salsano, critico letterario

di Mario Avagliano

All’invidiabile età di 90 anni, il professor Fernando Salsano, cavese purosangue, è uno dei dantisti più autorevoli a livello italiano ed europeo. Critico letterario della terza pagina dell’Osservatore Romano, il giornale del Vaticano, ha collaborato con le principali riviste letterarie del nostro Paese, dalla Nuova Antologia alla Fiera Letteraria, e ha scritto centinaia di voci della prestigiosa Enciclopedia Dantesca della Treccani. Nel suo studio di Roma, Salsano ci racconta il suo “grande amore” per Cava, mostrandoci sul desktop del computer l’immagine innevata di Monte Finestra e polemizzando con l’attuale primo cittadino metelliano Alfredo Messina per aver intitolato la piazza principale della città allo scomparso sindaco Eugenio Abbro.

Professore, lei ha attraversato nella sua vita tutto il secolo scorso. Come ricorda la Cava della prima metà del Novecento?
Era una città tranquilla, culturalmente vivace e anche ricca di fascino, tanto è vero che d’estate era frequentata da numerosi villeggianti. Io vengo da una famiglia storica di Cava. Il mio trisavolo Domenico fu medico pluripremiato alla corte di Napoli; suo figlio Luigi fu tra l’altro cacciatore di briganti: il mio bisavolo Alfonso fondò la storica Farmacia del Leone.
Com’è stata la sua adolescenza?
Un po’ triste: studio e lavoro. Frequentai il liceo classico alla Badia, dove non fui il primo della classe. Al primo anno mio padre mi dava 2 lire per il camioncino che portava gli studenti alla Badia. Per intascare i soldi, mi recavo a scuola a piedi. Quando mio padre venne a saperlo, mi disse: “Visto che puoi andare alla Badia a piedi, non è necessario che ti dia soldi”. Da allora sono diventato un gran camminatore. Posso ricordare anche che, per fronteggiare le ristrettezze economiche, suonavo il violino nelle orchestre da ballo e al cinema muto, a Cava e a Nocera Superiore, insieme al mio amico Guido Pellegrino.
Cava e il fascismo. Che cosa cambiò nel tessuto sociale della città con l’avvento di Mussolini?
Poco. Io ero ragazzo e ho vissuto il passaggio dalla democrazia al fascismo essenzialmente come un cambio di vessilli e di gagliardetti. Prima del fascismo ero esploratore cattolico, sotto la direzione del compianto professor Mario Violante. Poi sono diventato avanguardista e infine, all’Università, sono entrato nei GUF. Ho anche partecipato ai Littoriali nazionali della Cultura a Firenze. Ricordo che vinsi il premio provinciale della narrativa con un lavoro intitolato “Due capitoli per un romanzo”. Sono rimasti due capitoli, perché romanzi non ne ho mai scritti.
Lei frequentava anche il Circolo Sociale, il club della nobiltà cavese.
Sì, anche perché a me e a mia moglie Gemma piaceva molto ballare. Frequentavo il Circolo Sociale e il Tennis Club. Sono stato anche vicepresidente del Circolo. I miei amici di allora sono tutti scomparsi, da Fernando e Salvatore De Ciccio a Ennio Grimaldi.
Com’è nata la sua passione per la letteratura?
La passione è nata sui banchi di scuola. Dopo la maturità, all’Università di Napoli, ho avuto la fortuna di avere un maestro come il professor Giuseppe Toffanin, uno dei più grandi critici letterari italiani, con il quale mi sono laureato in lettere nel 1936. Sono stato un suo discepolo. Frequentavo casa sua.
Fino a quando nel 1940 è scoppiata la guerra...
E io sono partito per il fronte. Cinque anni di vita militare senza vocazione, in Fanteria. Pensare che avevo appena vinto il concorso per insegnare al liceo classico! Dopo la Scuola Ufficiali a Salerno, fui destinato a Pistoia, con il grado di tenente. Con il mio reggimento, l’83° Fanteria, ho partecipato all’occupazione dell’Albania, a Durazzo e ad Elbassan. Nel ’42, poi, sono stato inviato di stanza sulla costa siciliana e mi sono salvato miracolosamente dalla cattura da parte degli Alleati.
Dove si trovava nei giorni successivi all’8 settembre del ’43, quando ci fu lo sbarco degli americani a Salerno?
Ero in congedo a Cava. Non fu un periodo facile. Ci furono violenti combattimenti tra tedeschi e angloamericani. Io mi rifugiai in campagna, a casa di mio zio Alfonso, sulla Serra. Fu molto triste vedere la mia città dilaniata dalle bombe. Ricordo che non si trovava cibo e passavamo le giornate ad andare in giro alla ricerca di qualcosa da mangiare. Dopo la ritirata dei tedeschi, ho lavorato con gli Alleati. Fui ingaggiato dagli americani per la raccolta dei proiettili di artiglieria inesplosi. Era un lavoro pericoloso. Caricavamo i proiettili su un carretto tirato da un cavallo.
Poi riprese a insegnare.
Quando riaprirono le scuole, tornai ad insegnare al Liceo Classico di Nocera Inferiore. Scendevo a Nocera in bicicletta perché non c’erano autobus. Sono stato lì fino al 1949, quando ho ottenuto il trasferimento a Roma.
Come mai si è trasferito nella capitale?
Per due ordini di motivi. Primo, perché pensavo che a Roma avrei potuto coltivare meglio lo studio critico della letteratura italiana, confrontandomi con i migliori intelletti di questa disciplina. Secondo, perché volevo dare ai miei figli l’occasione di una formazione di alto livello. Mio figlio Felice ha frequentato la scuola dei gesuiti e ora è un apprezzato immunologo e insegna all’Università La Sapienza. Mia figlia Paola è stata alla scuola francese e nel corso della sua carriera ha insegnato francese e inglese nei principali istituti superiori di Roma.
Com’è stato l’impatto con Roma?
E’ stato felice anche se faticoso, perché - per poter sostenermi - fui costretto a contrarre pesanti debiti. Devo dire che non mi sono mai pentito di questa scelta. Ho insegnato italiano e latino in due istituti storici di Roma, il Liceo Pilo Albertelli e il Liceo Righi, e soprattutto ho potuto dedicarmi ai miei studi, stringendo amicizia con importanti studiosi.
Il suo primo libro?
Un libro sulla poesia di Teofilo Folengo, uscito nel 1953, che riprendeva la mia tesi universitaria, che era stata pubblicata sul Giornale storico della Letteratura Italiana, la rivista più importante di letteratura in Italia, e si basava su un manoscritto del Folengo che avevo scoperto nell’archivio della Badia di Cava.
L’incontro con Dante?
Dante è venuto in seguito. Nel ’59 presi la libera docenza ed entrai in contatto con il professor Bosco e il professor Petrocchi, i quali mi chiamarono a collaborare all’Enciclopedia Dantesca della Treccani e a scrivere molte voci di questa opera. In un certo senso, fui costretto a studiare Dante. E mi appassionai.
La sua prima conferenza letteraria?
Fu a Piazza Firenze, presso la Società Dante Alighieri. Forse un segno del destino. Relazionai sul Convivio di Dante. Fu il mio battesimo dantesco.
Che cosa rappresenta Dante per lei?
Per me Dante viene subito dopo il Padreterno. Ho una profonda ammirazione per lui. E’ un grandissimo poeta, ma è tale in quanto è un grande cristiano. Io penso che la Divina Commedia sia un libro da profeta, una battaglia con le armi della poesia per il rinnovamento del cristianesimo subito dopo San Francesco.
Come è approdato all’Osservatore Romano?
Nel periodo in cui ho insegnato all’Università di Cassino, ero collega di Mario Agnes. Quando nel 1985 Agnes è divenne direttore dell’Osservatore Romano, mi chiamò e mi chiese a bruciapelo se ero “cristiano”. Di fronte alla mia risposta positiva, mi domandò se volevo andare a lavorare con lui. Da allora collaboro ininterrottamente con il giornale del Vaticano.
Da quel particolare osservatorio, come ha giudicato il pontificato di Giovanni Paolo II?
Ho avuto grande ammirazione per il Papa straniero, venuto dalla cattolica Polonia, e per la sua capacità di dialogare con le altre religioni e con ogni parte del mondo. Detto questo, credo che si debba ricordare il problema dei problemi: oggi le condizioni del cristianesimo sono drammatiche. Siamo cristiani più per modo di dire che nella realtà. Essere cristiani è molto difficile. Questo è il problema essenziale, primario, per la Chiesa.
Che cosa ne pensa del nuovo Papa Ratzinger?
Si tratta di un prelato di alta statura. Il fatto che ami molto la musica e suoni il piano, ha secondo me molta importanza per capire l’uomo. Ma come Padre e Maestro del Cattolicesimo bisogna attenderlo all’azione specifica. Ho comunque una devota fiducia.
Lei vive a Roma da 56 anni. E’ ancora legato a Cava?
Eccome! Sono stato proprio di recente a Cava. Insieme a Padre Attilio Mellone e ad Agnello Baldi, sono stato fondatore della Lectura Dantis metelliana, che ho diretto per molti anni e di cui sono tuttora direttore onorario. Sono contento che ora la presidenza sia stata assunta da un giovane colto e perbene come Marco Galdi.
Come le sembra la Cava di oggi?
Non credo che vi siano grandi cambiamenti rispetto al passato. Resta una città che, economicamente, si fonda sul commercio, specialmente dei tessuti. Piuttosto, ho avuto il dispiacere di constatare una gaffe dell’Amministrazione comunale, che ha cambiato il nome della piazza storica di Cava, Piazza Roma, in Piazza Abbro. Questo confronto Roma-Abbro mi ha dato fastidio. Abbro è stato un professionista rispettabile, ma, rispetto alla storia cavese, di modesta statura. Se proprio si voleva – ma non se ne vedono ragioni – intitolare la piazza principale della città a qualcuno, nella storia recente di Cava c’erano ben altri protagonisti.

(La Città di Salerno, 24 aprile 2005)

Scheda biografica

Il professor Fernando Salsano è nato a Cava de’ Tirreni il 29 gennaio del 1915. Laureato in Lettere e Filosofia nell’Università di Napoli nel 1936, dal 1940 ha insegnato Italiano e Latino nei Licei statali, di cui è stato preside dal 1965. Libero docente di Lingua e Letteratura Italiana dal 1959, ha insegnato nelle Università di Cassino, Padova, Salerno fino al 1985. Inviato quale consulente pedagogico delle scuole in lingua italiana dell'ex Zona B sotto amministrazione iugoslava, ha risieduto presso il Consolato d’Italia a Capodistria, negli anni 1964-66. Negli studi letterari esordì a vent’anni con un Sonetto inedito di Teofilo Folengo, autografo, scoperto tra le carte folenghiane dell’Archivio della Badia benedettina di Cava de’ Tirreni, e pubblicato in “Giornale Storico della Letteratura Italiana” (1936). Il medesimo periodico pubblicò la sua tesi di laurea (1936), L’Agiomachia di Teofilo Folengo. Nell’Archivio cavense ritrovò, negli anni successivi, un autografo di G.B.Marino, contenente l’abbozzo inedito, ricco di varianti, di tre canti epici per una Anversa liberata, e due odi inedite per i Capelli di S. Maria Maddalena, editi a Bologna, nel 1956. Ha sviluppato l’esordio filologico nell’attività esegetica e critica, orientata prevalentemente sull’Opera e il tempo di Dante. Ha tenuto per la Società Dantesca di Firenze, la Casa di Dante di Roma e varie città d’Italia più di quaranta lecturae della Divina Commedia. Ha redatto centinaia di ‘voci’ dell’Enciclopedia Dantesca. Ha collaborato ai più autorevoli periodici di cultura (tra cui, per periodi di molti anni, “La Fiera Letteraria” e “Nuova Antologia”); dal 1985 è critico letterario dell’ “Osservatore Romano”. Ha vinto tre premi nazionali di poesia. Nel 1994 è stato insignito del Premio Cavesi nel mondo, quale “autorevole erede della cultura umanistica cavense”. La sua bibliografia contiene più di 500 voci. Opere principali: La poesia di Teofilo Folengo, 1953; La coda di Minosse e altri saggi danteschi, 1968; La poesia di Dante, 1970; Tradizione e modernità nell’Ottocento, 1970; Lettura della Divina Commedia: interpretazioni lessicali e personaggi, voll.2, 1971; Poeti e prosatori italiani intorno alla prima guerra mondiale, 1972; La lirica italiana da Guittone al Petrarca, 1977; Personaggi della Divina Commedia, 1984; Lettere ai nipoti e altre poesie, 1986; Lecturae Dantis, 2003.

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