Intervista a Corrado Ruggiero, scrittore
- Scritto da Mario Avagliano
- Pubblicato in Interviste
- 0 commenti
di Mario Avagliano
Ha scritto il suo primo romanzo, un giallo “napoletano-nucerinese” intitolato “Rossa malupina”, alla rispettabile età di 67 anni. Più tardi di Italo Svevo, che già aveva costituito un’eccezione nel panorama narrativo italiano. Da allora, anno di grazia 2002, il professor Corrado Ruggiero da Nocera, pensionato, una carriera ragguardevole nella scuola (è stato preside e ispettore scolastico e ha coordinato uno dei progetti didattici più innovativi del dopoguerra), non si è più fermato. Ha pubblicato altri due romanzi e si è imposto all’attenzione della critica letteraria italiana. Cesare Segre, a proposito della sua trilogia dedicata a Nocera, ha parlato di “affresco di straordinario scintillio”, plaudendo al suo “policromo impasto idiomatico”. Intervistato da la Città, Ruggiero rivela che ha appena terminato il suo quarto libro di narrativa e nega ogni paragone con Domenico Rea.
Professore, partiamo delle sue origini nocerine.
Io sono nato a Carbonara di Nola, un paesino ai piedi del Vesuvio, tra Nola e Palma Campania. Mio padre Giovanni era di Sessa Aurunca, e faceva il vicebrigadiere dei carabinieri. Mia madre era originaria di Gragnano. Quando avevo quattro anni, la mia famiglia si trasferì a Nocera Inferiore, dove sono cresciuto, dove ho frequentato tutte le scuole fino al liceo classico, e dove sono vissuto ininterrottamente fino al 1990, quando ho messo casa definitivamente a Milano.
La Nocera dei suoi anni verdi era diversa da quella di oggi?
Era molto diversa. A metà degli anni Cinquanta, purtroppo Nocera cambiò volto, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale, come accadde peraltro in diverse città del Mezzogiorno. In questo quadro di degrado e di involuzione, le speculazioni edilizie costituivano solo il pugno nell’occhio più eclatante, poiché allo sfregio urbanistico si accompagnò anche lo sfregio alla vita sociale e civile, con il dilagare della criminalità.
Il degrado toccò pure l’economia cittadina?
Eccome! Se negli anni Venti erano fallite le prime fabbriche di maccheroni, negli anni Cinquanta chiusero i battenti anche le ultime fabbriche di “pummarole”. Nocera diventò una città parassitaria, di professori, di impiegati, di medici, caratterizzata da una marea di ragazzi che andava a scuola per non imparare niente, in attesa di qualcosa che - nella maggior parte dei casi - non arrivava.
Che intende per città parassitaria?
Mi riferisco all’economia, ma anche all’ambiente sociale e culturale di Nocera. Il nocerino che aveva quattro soldi, passava la serata a Cava, non certo nella sua città. E se era un “signore”, si recava a prendere il caffè a Salerno. Cava e Salerno erano assai più stimolanti. In particolare, c’era una subordinazione psicologica dei nocerini nei confronti di Cava. La cavesità veniva percepita come qualcosa di superiore. Voglio dire che se un giovane di Nocera trovava una ragazza “cavajola” che se lo pigliava, toccava il cielo con un dito. Figurarsi se era invitato a ballare al Circolo del Tennis di Cava. Era il massimo!
Quando nacque in lei la passione per la scrittura?
Avevo 17 anni quando scrissi la mia prima novella, che era un po’ sullo stile di Cesare Pavese. La inviai ad Arrigo Benedetti, allora direttore dell'Espresso. Mi rispose per iscritto. Mi fece i complimenti per la mia “padronanza del racconto” e m’invitò ad andarlo a trovare a Roma. Non avevo neppure i soldi del biglietto del treno, e restai a casa. Non lo dico per patetismo. C'era forse anche un'ombra di naturale accidia o pudore o ritrosia o mancanza di spirito d'avventura che mi bloccavano.
E così si dedicò ad altre cose.
Mi laureai in giurisprudenza all’Università di Napoli e, successivamente, anche in filosofia. Tra l'una e l'altra laurea, ho lavorato due anni nell'Olivetti. C'era ancora il patron Adriano ed ebbi la ventura di conoscere alcuni notevoli personaggi: Ottiero Ottieri, Giancarlo Lunati ed altri. L'Olivetti si avviava al tramonto, per cui mi diedi - come ripiego - all'insegnamento. Ricordo che a uno dei concorsi, ebbi modo di incrociare Giorgio Petrocchi, uno dei più insigni dantisti di questo secolo. Insegnando, venni faccia a faccia con ciò che veramente amavo: il mondo delle parole e, in particolare, delle parole quando si organizzano in una favola.
Vent’anni di insegnamento, fino alla nomina a preside.
Ho insegnato presso il Magistrale di Nocera fino al 1982. Quell'anno ebbi ben cinque nomine a preside, avendo vinto 5 concorsi per esami. Scelsi l'Itc "Pucci" di Nocera, dove sono rimasto per poco più di due anni. Spero di non aver lasciato un cattivo ricordo di me. Pensi, avevamo ogni anno 2.500 alunni. Per risolvere il problema del sovraffollamento delle aule, feci istituire due nuovi istituti, uno a Sarno e uno ad Angri. Organizzai conferenze con filosofi del livello di Aldo Masullo, incontri con giuristi importanti come il professor Bonifacio, che era stato Presidente della Corte Costituzionale, e anche concerti di musica classica, con la collaborazione di una società di musicofili di Nocera. Tenne un concerto per noi anche il flautista di fama internazionale Severino Gazzelloni. Un’attività culturale notevole, che mi procurò molte ostilità e invidie.
Fu lei a organizzare la prima manifestazione pubblica a Nocera per Domenico Rea.
In tanti anni, a Nocera, non era stato mai organizzato un incontro pubblico con don Mimì. Con l’aiuto del sindaco Mario Stanzione, che conoscevo da ragazzo, lo invitai all’Itc insieme a Giuseppe Marrazzo, un altro nocerino illustre. Marrazzo, grazie alle inchieste sulla camorra, era diventato un giornalista molto noto, ma in quell’occasione si acconciò ad essere un comprimario.
Che tipo era Domenico Rea dal punto di vista umano?
Era un personaggio carnale, istintivo, esplosivo, a volte incontenibile, ricco di vivacità e di verve. Sono contento che di recente abbia avuto anche la definitiva consacrazione letteraria, con il saggio critico che gli ha dedicato Maria Corti.
Nel 1985 lei vince il concorso per dirigente superiore per i servizi ispettivi del Ministero dell’Istruzione e sbarca a Milano.
E’ stata una bella esperienza. Negli anni Ottanta ho collaborato alla redazione dei programmi di studio e di esami degli istituti professionali e al Progetto ’92 di aggiornamento a distanza per i docenti, che è stato uno dei progetti più riformatori della scuola italiana e che, dietro mia iniziativa, vide tra i protagonisti uno dei più eccellenti linguisti italiani, Raffaele Simone.
Nel 2002 il professor Ruggiero pubblica il suo primo romanzo, "Rossa malupina".
Non è che io mi sono svegliato un giorno e ho scritto di getto un romanzo. Ho studiato per anni, ho riflettuto, ho pubblicato saggi di critica letteraria e di linguistica applicata.
D’accordo, ma l’idea come l’è venuta?
L’idea di “Rossa malupina” è nata per stizza e per dispetto. Dispetto al mio dentista che s’era schiaffato in testa di scrivere un romanzo giallo e che io dovessi subire i suoi trapani e, insieme, i suoi esercizi letterari. Per ripicca, aprii il frigorifero e tirai fuori Fielding Sterne Manzoni Leopardi Eliot Joyce e, poi, Basile e tutta la rigatteria alta e bassa che ho accumulato studiando insegnando per trent’anni, facendo il preside per due anni, il dirigente ispettivo per diciassette, e soprattutto vivendo. Ho messo tutte queste cose in un frullatore napoletano-nocerinese e ho frullato il nostro caos quotidiano. Col Vesuvio che chiude tutto.
Il suo primo romanzo ebbe un buon successo.
Sì, anche se camminò solo con i suoi piedi. Ricordo che quando l'edizione era oramai esaurita, pur non avendo goduto di alcuna seria diffusione, attirò l'attenzione di un critico letterario del calibro di Cesare Segre, che mi parlò di "chiari valori letterari" e di "impasto linguistico innovativo e fascinoso". Da quella proustiana tazza da tè sono, poi, venuti fuori altri due romanzi: "Ballata nucerinese" e "Nuova Nocera York".
C’è qualche parentela tra la Nocera dei suoi romanzi e la Nofi di Domenico Rea?
Credo proprio di no. E’ evidente che per un narratore è più facile ambientare le proprie storie in luoghi che conosce meglio e che è più capace di descrivere. Però Rea chiama Nocera Nofi, io la chiamo per nome e “cognome”, Nocera Inferiore, anzi Nucera. Così come chiamo i suoi abitanti nuceresi, perché considero la parola nocerini l’intromissione dell’italiano standard sul termine dialettale.
E’ solo una differenza terminologica?
La differenza terminologica cela anche una differenza di obiettivi narrativi. Rea ha vissuto nel periodo del realismo e sentiva l’esigenza di essere fotografico. La mia Nocera, invece, non è la Nocera anagrafica, ma una città metaforica. Non a caso Joyce diceva che gli veniva più facile scrivere Dublino che Londra. Lo stesso accade a me. Poiché è chiaro l’uso metaforico di Nocera, e poiché so che è metafora e non fotografia, posso permettermi il lusso di conservarne il nome.
Pensa mai a Nocera con nostalgia?
Le potrei rispondere con una frase di Benedetto Croce. Io mi sono sempre illuso di essere filius temporis, e non filius loci. Per me Nocera è una dimensione del tempo che non appartiene a un luogo preciso ma a un luogo dell’anima. Detto questo, ho una moglie nocerina nocerina, e due figli ancora più nocerini di lei. Il primo, Giovanni Maria, è medico-psichiatra di discreta fama in Europa, e la seconda, Simonetta, è – dicono - un architetto di notevoli qualità.
Sta lavorando a nuovo romanzo?
L’ho terminato, oramai. Proprio l'altro giorno mi ha telefonato un alto responsabile di una grossa casa editrice che ha letto con attenzione tutti e tre i miei romanzi rimanendo "ammirato" e mi ha detto che erano interessati a pubblicare il quarto. Ma, saputo che ho accresciuto la "Rossa Malupina" di circa 40 pagine e che ne ho rivisto, senza stravolgerlo, l'impianto linguistico e grafico, ha allargato il suo interesse anche al primo romanzo. Ci vedremo nei prossimi giorni.
Insomma, sta vivendo una seconda giovinezza...
La mia vita è stata una vita semplice, e semplici sono state le cose che ho fatto. Come a volte succede, ora stanno maturando tanti avvenimenti inaspettati, fino a far diventare eccitante il finale di partita che sto giocando.
(La Città di Salerno, 3 ottobre 2004)
Scheda biografica
Corrado Ruggiero è nato il 28 settembre del 1935 a Carbonara di Nola (Napoli). E’ cresciuto e si è formato a Nocera Inferiore, dove si trasferì con la famiglia all’età di quattro anni e dove ha frequentato tutte le scuole. Laureatosi in Giurisprudenza e in Filosofia all’Università di Napoli, ha lavorato all’Olivetti prima di dedicarsi all’insegnamento. Docente di italiano e di storia fino al 1982, presso l’istituto magistrale di Nocera, ha vinto poi il concorso a preside e, nel 1985, quello per ispettore scolastico. Si è trasferito a Milano nel 1990, e ora vive a Peschiera Borromeo. In passato ha collaborato alla terza pagina di "Paese Sera", e a "Brescia Oggi", "La Provincia" di Como, "Il Messaggero Veneto". Ha scritto diversi saggi sulla didattica dell'italiano e di analisi di problemi letterari, occupandosi di Edoardo Sanguineti, di Pirandello, di Wittgenstein e di Manzoni. Attualmente collabora a "la Repubblica". Ha pubblicato finora tre romanzi: "Rossa malupina" (2002), "Ballata nucerinese" (2003) e "Nuova Nocera York" (2003).