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Intervista a Ruggero Cappuccio, autore e regista teatrale

di Mario Avagliano
 
 
“Salerno ha bisogno di una forte identità culturale. Deve scegliere se vuole essere una città della movida o una città con la C maiuscola”. A parlare è Ruggero Cappuccio, uno degli autori e registi teatrali più glamour a livello europeo, napoletano di nascita, ma cresciuto e formatosi a Salerno, allievo di Leo De Berardinis e di Giuseppe Patroni Griffi, vincitore del premio dell'Istituto del Dramma Italiano, già direttore artistico del Festival teatrale “Città Spettacolo” di Benevento, uno dei due drammaturghi italiani viventi a scrivere nella collana del classici dell’Einaudi, assieme a Roberto De Simone. “Ho grande fiducia nel sindaco De Luca. Ho un dialogo aperto con lui e spero possa fare bene”, dice Cappuccio intervistato da la Città. E si dichiara disponibile a collaborare, ma a condizione che si tratti di un progetto di alta qualità: “Mettiamola così: tutte le cene possono essere belle, basta sapere chi sono i convitati”.
 
Quando nasce il suo rapporto con Salerno?
Praticamente da sempre. Le famiglie dei miei genitori sono originarie di antiche casate del Cilento: di Ferramezzana per parte di padre e di San Mango per parte di madre. Passavo tutte le estati in quei posti magnifici e ovviamente, viaggiando, transitavo sempre per Salerno. Poi, ad otto anni di età, Salerno divenne anche la città dove vivevo, perché ci trasferimmo lì, al seguito di mio padre, che era agente generale di assicurazioni. Il caso volle che prendessimo casa nella zona del Teatro Verdi. Quando si dice il destino… Ed è proprio a Salerno che ho avuto il mio primo contatto con la magia del teatro.
Come?
Ho ancora vivo il ricordo un po’ naif delle rappresentazioni del Teatro dei Burattini dei fratelli Ferraioli, al lungomare di Salerno. Quel mondo è stato di grande provocazione per me. Da bambino non mi perdevo un solo spettacolo e tutte le mie sostanze erano spese nel collezionare burattini. Una passione che dura ancora oggi.  
A Salerno si è anche laureato.
Sì, in Lettere. Sono stato uno degli ultimi studenti a completare il corso di studi nella struttura di via Vernieri, senza passare per le forche caudine di Fisciano. Ho avuto la fortuna di avere professori davvero eccellenti, come Augusto Placanica, Gioacchino Paparelli, Riccardo Avallone e soprattutto Achille Mango, grande critico teatrale. Sono stati anni bellissimi, vissuti intensamente dentro la città. Io non credo che la delocalizzazione dell’università fuori Salerno sia stata una buona idea.
A proposito di Achille Mango, che ricordo ha di lui?
Achille era un uomo di qualità, dotato del dono dell’ironia e della leggerezza. Il modo in cui conduceva le sue lezioni era quasi luciferino, perché riusciva a “comprare” la nostra anima, facendoci innamorare del teatro. Era capace di evocare grandi mondi, permettendoci però di incontrare i protagonisti di questi mondi. Ricordo ancora le lezioni straordinarie di Giorgio Strehler, del regista polacco Kantor, di Agostino Lombardo, il più importante traduttore di Shakespeare in Italia. Mango era anche un uomo di azione. Assieme a Franco Coda, era l’animatore delle stagioni del Teatro “A” di Mercato San Severino, che in quegli anni ospitava il meglio dello sperimentalismo italiano ed europeo. La tournée di Kantor, ad esempio, in Italia fece tappa soltanto a Firenze e a Mercato San Severino… 
Lei come drammaturgo ha bruciato le tappe. Nel 1993, a ventinove anni d’età, aveva già vinto il Premio dell’Istituto del Dramma Italiano.
Vinsi con un’opera teatrale che si intitola “Delirio marginale”, scritta in napoletano e in veneziano, e che è in versi e prosa. Essere insignito dello stesso premio che era stato assegnato a Bacchelli, a Brancati, a Eduardo e a Patroni Griffi, da un lato m’inorgoglì dall’altro mi responsabilizzò molto.
Beh, anche dirigere come regista ad appena trentacinque anni d’età, nel 1999, la prima opera lirica con Riccardo Muti alla Scala, “Nina pazza per amore” di Giovanni Paisiello, deve essere stata una bella soddisfazione...
Devo dire di sì, anche se fu un’occasione capitata a causa della morte di Strehler. Con Muti, però, è nato subito un rapporto bellissimo. Nel 2001 mi ha voluto come regista di “Falstaff” di Giuseppe Verdi, sempre alla Scala di Milano. E l’anno prossimo, assieme a lui, metteremo in scena un’opera di Cimarosa, al Festival di Salisburgo.
 
(La Città di Salerno, 2 luglio 2006)
 
 
Carta d’identità
 
Ruggero Cappuccio è nato a Torre del Greco il 19 gennaio 1964. E’ cresciuto tra Salerno, il Cilento e Napoli. Vive a Roma.
Titolo di studio: Laurea in lettere conseguita presso l’Università di Salerno, con tesi di laurea su Edmund Kean.
Hobby: gioca a calcio come “mediano di spinta”; ama anche l’equitazione e il tennis.
Film del cuore: “Otto e mezzo” di Federico Fellini e “Il Gattopardo” di Luchino Visconti
Ultimo libro letto: “L’amorosa inchiesta” di Raffaele La Capria.

 

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