Il partigiano e i misteri del Duce
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di Mario Avagliano
Chi uccise Benito Mussolini e la sua amante Claretta Petacci il 28 aprile del 1945? E quali misteri nasconde la tragica fine del dittatore fascista, il cui corpo venne poi appeso a testa in giù a Piazzale Loreto a Milano, proprio nel luogo dove nell'agosto del '44 erano state esposte in pubblico per sfregio le salme di quindici partigiani? Gli storici non sanno ancora dare una risposta definitiva a questi quesiti. E ieri è morto a 94 anni, nella sua casa a Brescia, uno degli ultimi testimoni di quegli avvenimenti, l'ex partigiano Bruno Giovanni Lonati, nome di battaglia «Giacomo», commissario politico della 101a Brigata Garibaldi.
Nel 1994 Lonati pubblicò il libro "Quel 28 aprile. Mussolini e Claretta: la verità" (Mursia), in cui si assunse la responsabilità di essere stato l'autore materiale dell'uccisione del dittatore fascista, tre giorni dopo la liberazione di Milano. Un'esecuzione che sarebbe avvenuta poco dopo le ore 11, in una stradina a Bonzanigo di Mezzegra, sul lago di Como, nell'ambito di una missione segreta diretta da un agente segreto inglese, figlio di emigrati italiani in Gran Bretagna, detto «il capitano John», ufficiale dello Special Operations Executive (Soe).
Una testimonianza clamorosa, che smentiva la versione ufficiale circolata per cinquant'anni, in base alla quale ad uccidere Mussolini con una scarica di mitra Sten era stato il partigiano comunista Walter Audisio, il famoso Colonnello Valerio, coadiuvato dai compagni Michele Moretti e Aldo Lampredi, davanti al cancello di Villa Belmonte a Giulino di Mezzegra; azione poi rivendicata dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia con un comunicato emesso il giorno dopo.
Secondo la versione di Lonati, poi definita dagli storici "la pista inglese", lo scopo della missione sarebbe stato il recupero del presunto carteggio tra Winston Churchill e Mussolini, al fine di cancellare le tracce di quel rapporto imbarazzante, attraverso la soppressione di due scomodi testimoni, lo stesso duce e la Petacci, prima che finissero nelle mani degli americani, che avrebbero voluto sottoporre il capo del fascismo ad un processo.
Il memoriale di Lonati afferma che il "carteggio Churchill-Mussolini" non fu trovato e che tuttavia i servizi segreti inglesi avrebbero concordato il silenzio di Lonati e dei due partigiani superstiti per altri cinquant'anni. Per tale motivo il suo libro sarebbe uscito solo allora.
Una ricostruzione dei fatti confermata nel 2002, con nuovi dettagli, dal giornalista Luciano Garibaldi nel saggio "La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci" (Ares), oltre che dall'ex agente segreto americano Peter Tompkins, secondo cui addirittura il futuro segretario del Pci Luigi Longo avrebbe organizzato la finta fucilazione del duce per nascondere la verità. Lo stesso Renzo De Felice, nel libro "Rosso e Nero" (Baldini e Castoldi, 1995), ritenne credibile un intervento inglese per eliminare Mussolini ed evitare una sorta di processo di Norimberga nei confronti del duce.
Il racconto di Lonati, però, era privo di riscontri documentali e presentava diversi punti oscuri, contrastanti con i risultati di altre ricerche storiche. L'orario dell'esecuzione fu davvero le 11 di mattina o le quattro e dieci di pomeriggio come riferisce la versione ufficiale? Come mai il carteggio tra Churchill e Mussolini non è mai venuto fuori? Perché l'altro componente del commando di Lonati, all'epoca ancora vivente, si rifiutò di confermare la sua versione? Va detto che fra l'altro il numero di colpi sparati dichiarato dall'ex partigiano "Giacomo" non corrisponde con i rilievi compiuti sul corpo di Mussolini e che Lonati si sottopose anche all'esame della macchina della verità, con esito negativo.
Di recente lo storico Mimmo Franzinelli ha smontato pezzo per pezzo, con uno studio documentato, la tesi dell'esistenza di un carteggio segreto tra il duce e lo statista britannico ("L'arma segreta del Duce. La vera storia del carteggio Churchill-Mussolini", Rizzoli, 2015). La "pista inglese" si è quindi di fatto indebolita. Resta da capire il motivo che avrebbe spinto un personaggio di rilievo come Lonati a sostenere tale tesi e ad alimentare quella che sembra una grande "bufala" storica.
E infatti l'ex partigiano "Giacomo", nato a Legnano il 3 giugno 1921, non fu un esponente di secondo piano della Resistenza. Fu commissario politico della 101a Brigata Garibaldi e comandante di una divisione partigiana formata da tre brigate operanti nel capoluogo lombardo. Nel dopoguerra Lonati riprese il lavoro alla Franco Tosi e trasferitosi poi a Torino nel 1958, ricopri incarichi di dirigente alla Fiat e negli anni ottanta guidò a Bari un'importante società metalmeccanica. Dopo la pensione si stabilì a Brescia, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, prima di portare i suoi segreti nella tomba.
(Il Messaggero, 17 novembre 2015)